Scena del crimine

Tutti i misteri del caso Vannini: "Così il mio Marco è stato tradito"

La notte del 17 maggio 2015, Marco Vannini venne ucciso da un colpo di pistola, sparato dal padre della fidanzata. Dopo l'annullamento della Cassazione, si è aperto il processo d'Appello bis. La madre: "Voglio giustizia per mio figlio"

Tutti i misteri del caso Vannini: "Così il mio Marco è stato tradito"

Un colpo d'arma da fuoco, i soccorsi chiamati in ritardo e una rete di bugie. Sono questi gli elementi che hanno portato alla morte di Marco Vannini, ventenne di Cerveteri, ucciso nella casa dei genitori della fidanzata a Ladispoli (Roma), la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015.

La vicenda

Alle 23.00 del 17 maggio 2015, Marco chiama i genitori, per avvisare che sarebbe rimasto a dormire dalla fidanzata, Martina. In casa, quella sera c'erano, oltre alla ragazza, i genitori di lei, Antonio Cintoli e Maria Pezzillo, il fratello Federico e la sua fidanzata Viola Giorgini. Poco dopo le 23.00, il proiettile di una pistola Beretta calibro 9, appartenente al padre della fidanzata lo colpisce a un braccio, penetrando nella gabbia toracica, forandogli un polmone e raggiungendo il cuore. Solamente alle 23.41 arriva la prima telefonata al 118 per chiedere aiuto: a farla è Federico Ciontoli, che riferisce di un giovane sentitosi male per uno scherzo. Nel corso della chiamata interviene anche una donna, Maria Pezzillo, che precisa che il ragazzo si trovava nella vasca da bagno. Ma poco dopo, sollecitati dalla voce di un uomo, che ritiene non siano necessari i soccorsi, Federico e la madre annullano la richiesta di aiuto. Passa così altro tempo e solo dopo altri 30 minuti (a 00:06) viene fatta una seconda telefonata al 118, questa volta da Antonio Ciontoli, in cui viene chiesto aiuto per un ragazzo che si è "ferito con un pettine appuntito", scivolando nella vasca, e che ha avuto un attacco di panico: nulla di grave, quindi. Quando l'ambulanza arriva alla villetta di Ladispoli, non scatta il codice rosso e, dato che nessuno parla della pistola, il ragazzo viene portato in ospedale con il codice verde. Solamente verso l'una di notte, ai medici viene detto che Marco è stato ferito da un colpo di pistola. Ma ormai è troppo tardi e alle 3.10 della notte, il ragazzo muore, quattro ore dopo essere stato colpito.

A sparare sarebbe stato Antonio Ciontoli, padre di Martina, che a Storie Maledette aveva ammesso: "Marco mi ha chiesto di vedere una pistola ed è partito il proiettile. È stato un movimento unico che è durato meno di un secondo, ho caricato e premuto istintivamente il grilletto per fargli vedere come funzionava. Nei primi secondi mi si è cancellato il cervello non ho capito nulla".

Ma intorno a quella notte ci sono ancora delle ombre, che hanno alimentato i sospetti della famiglia Vannini. I Ciontoli avevano dichiarato di aver pensato inizialmente che lo sparo fosse stato prodotto da un colpo d'aria, causato da una bolla d'aria formatasi nella pistola. Ma sembra difficile pensare che il bossolo sul pavimento e le "urla disumane" di Marco, registrate durante la seconda chiamata al 118, non abbiano fatto nascere il dubbio che il 20enne fosse stato ferito da un proiettile. Inoltre, in casa, sono stati trovati asciugamani sporchi di sangue, usati per tamponare la ferita. Eppure, quando Antonio Ciontoli chiamò i soccorsi parlò di un buco causato da un pettine a punta. Una rete di bugie che, secondo la Corte di Cassazione, ha rallentato i soccorsi tanto da produrre un ritardo che "ebbe un ruolo decisivo nel causare la morte di Marco Vannini, che non si sarebbe verificata se i soccorsi fossero stati tempestivi".

I due processi per omicidio

Il 23 maggio del 2016 si apre nell'aula prima della Corte d'Assise di Roma il processo per la morte di Marco Vannini. Per la vicenda è imputata l'intera famiglia Ciontoli, che deve rispondere di omicidio volontario in concorso. Secondo il pm, tutti "in concorso tra loro hanno ritardato i soccorsi fornendo informazioni scarse e contrastanti" sull'incidente e sulle condizioni del ragazzo. E sarebbe stata proprio questa rete di bugie a provocarne la morte. Anche la fidanzata di Federico, il figlio dei Ciontoli, è imputata, ma per lei l'accusa è quella di omissione di soccorso.

Durante il processo, i medici consulenti della procura avevano affermato che Marco avrebbe potuto salvarsi, se fosse stato soccorso tempestivamente. Il ritardo nelle richieste d'aiuto, causato dal tentativo di coprire quanto accaduto, sarebbe quindi stato determinante nel provocare la morte del ragazzo. Il 31 marzo del 2017 la pm aveva chiesto una condanna a 21 anni di carcere per Antonio Ciontoli e a 14 per la moglie e i due figli, a cui sono state riconosciute le attenuanti generiche. Tutti, secondo l'accusa, hanno "sempre e solo mentito, ai soccorritori prima, ai carabinieri poi" e "l'accertamento dei fatti ha risentito di questo atteggiamento menzognero". Infatti, secondo la pm, "a fronte di uno sparo colposo i quattro hanno scelto di ritardare i soccorsi e fornire ricostruzioni fuorvianti. Tutte le condotte dei Ciontoli hanno avuto l'obiettivo di ritardare i soccorsi e fornire ricostruzioni fuorvianti". Tutti "hanno taciuto tutti la verità supportando con il silenzio e le menzogne l'operato del padre mentre Marco emetteva urla disumane", dopo essere stato colpito. I Ciontoli, aveva detto la pm nella requisitoria, "avrebbero potuto chiamare il 118 dicendo subito quello che era successo perché lo sapevano, tutti e quattro, invece hanno scelto di mentire". Per la fidanzata di Federico, invece, l'accusa aveva chiesto due anni di carcere (con sospensione della pena) per omissione di soccorso.

Al termine del processo di primo grado, il 18 aprile del 2018, Antonio Ciontoli viene condannato a 14 anni di carcere, mentre per la moglie e i figli vengono stabiliti tre anni di condanna. Al padre della fidanzata di Marco Vannini è stata confermata l'accusa di omicidio volontario, mentre gli altri famigliari sono stati considerati colpevoli di omicidio colposo. "Vergogna, vergogna, è uno schifo come posso credere ancora nella giustizia. Mi hanno ammazzato un figlio a vent'anni. Vergogna!", aveva detto la madre di Marco, Marina Conte, dopo la sentenza di primo grado.

Il 29 gennaio del 2019 arriva la sentenza del processo d'appello per la morte di Marco Vannini. Il pg chiedeva una condanna a 14 anni di carcere per l'intera famiglia Ciontoli. Ma i giudici decidono per 5 anni al padre e 3 anni a Maria Pezzillo, Martina e Federico. La Corte d'Appello, infatti, ritiene che si sia trattato di un omicidio colposo. Alla lettura della sentenza, in Aula si erano sollevate proteste: "Venduti, non c'è Stato per Marco!", hanno urlato parenti e amici di Vannini contro i giudici.

Il colpo di coda della Cassazione

Il 7 febbraio 2020, il processo sulla morte di Marco arriva in Cassazione. E qui, le sentenze precedenti vengono ribaltate: i giudici ermellini, infatti, accolgono i ricorsi della procura generale e delle parti civili, secondo cui la morte di Marco fu un omicidio volontario con dolo eventuale. Con la sentenza del 7 febbraio 2020, la Corte ha annullato con rinvio tutte le condanne dei giudici di appello, imponendo, quindi, di rifare il processo per la famiglia Ciontoli, padre, madre e i due figli.

I giudici ermellini hanno dato ragione alla pg, secondo la quale si trattò di omicidio volontario con dolo eventuale: la morte di Vannini, aveva sostenuto la pg, rappresenta "una vicenda gravissima, disumana, considerati i rapporti degli imputati con la vittima", perché "tutti e quattro, per ben 110 minuti, mantennero una condotta omissiva, menzognera e reticente" nonostante "la gravità della situazione fosse sotto gli occhi di ognuno di loro". Nella sentenza emessa dalla Corte di Cassazione si legge, infatti, che "il ritardo nei soccorsi si protrasse per circa 110 minuti ed ebbe un ruolo decisivo nel causare la morte di Marco Vannini, che non si sarebbe verificata se i soccorsi fossero stati tempestivi". Infatti, Antonio Ciontoli ammise che il ragazzo era stato colpito per errore solamente davanti al medico di turno. "Le false informazioni furono quindi un modo per restare inerti e per non dare corso ad una tempestiva richiesta dei soccorsi che, invece, avrebbero potuto efficacemente intervenire a tutela e protezione del bene della vita di Marco Vannini", avevano precisato i giudici ermellini, sottolineando che la morte di marco sopraggiunse poco dopo l'arrivo in ospedale, "quale conseguenza sia delle lesioni causate dal colpo di pistola, che della mancanza di soccorsi che certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l'effetto infausto". Se fosse stato soccorso in tempo, quindi, Marco Vannini avrebbe potuto salvarsi.

Il processo d'Appello bis

Qualche giorno fa, l'8 luglio 2020, si è aperto il nuovo processo d'Appello, che vede sul banco degli imputati tutta la famiglia Ciontoli. Oltre al padre, infatti, sono accusati anche Maria Pizzillo e i due figli, Federico e Martina che, per paura delle conseguenze che la vicenda avrebbe potuto portare al lavoro del padre, non hanno chiamato l'ambulanza tempestivamente. Durante l'udienza ha preso la parola Federico, che ha letto una dichiarazione spontanea: "La prima cosa che mi è interessata quella sera è che qualcuno che sapesse cosa fare potesse intervenire visto che, anche se mio padre diceva di poterci pensare lui, a me dopo un pò non sembrò così- ha detto il ragazzo- Mio padre diceva che Marco si era spaventato per uno scherzo, e io gli credetti perchè non c'era nessuna ragione per non farlo". L'uomo, infatti, "si comportava proprio come se stesse gestendo uno spavento, ossia alzando le gambe e rassicurando. Il tipo di scherzo che aveva causato lo spavento in quel momento non era una preoccupazione per me".

I giudici hanno ammesso come testimone Viola Giorgini, ai tempi fidanzata di Federico, che quella notte si trovava nella villetta di Ladispoli, insieme alla famiglia Ciontoli. La ragazza, finita sotto processo, è stata assolta dalle accuse e verrà sentita come testimone oculare il prossimo 9 settembre. La sentenza, salvo imprevisti, è prevista per il 23 settembre.

La madre: "Voglio giustizia per Marco"

"Voglio giustizia per Marco". A dirlo è Marina Conte, la mamma di Marco Vannini, che al Giornale.it ha dichiarato di essere rimasta "soddisfatta" dall'udienza dello scorso 8 luglio, che apre il processo di Appello bis. "Sono felice anche che venga ascoltata Viola, nonostante sia stata richiesta dagli avvocati della difesa - ha aggiunto - Vediamo quello che ha da dire. Non mi aspetto che deponga una verità diversa, però dovrebbe rispondere. Lei è l'unica esterna alla famiglia, vediamo cosa dice". La speranza è che si arrivi, il 23 settembre, "a una sentenza giusta. Aspetterò, fiduciosa nei giudici".

E sulle dichiarazioni di Federico, Marina commenta: "Lui vuole scaricare la colpa solo sul papà. Dice che si era fidato di lui, che si è reso conto del colpo solo quando il padre glielo ha detto". Durante l'udienza, però, il ragazzo ha anche aggiunto: "Per tre interminabili anni sono uscito ogni giorno da casa per andare a lavorare e ho camminato perseguitato dall'immagine di qualcuno che potesse venire e spararmi alla testa, spinto da quello che si diceva su di me in televisione". Parole pesanti come un macigno per chi ha perso un figlio proprio a causa di un colpo di un'arma da fuoco: "La cosa che mi ha fatto infuriare di più - ha raccontato la mamma di Marco- è quando ha detto di aver paura che qualcuno gli spari. Ma l'unico a cui hanno sparato è mio figlio. E non è stato soccorso". Per Marco, però, "loro non hanno mai speso nemmeno una parola" e neanche ieri, Federico lo ha nominato.

"Loro ci hanno mentito", continua Marina Conte, riferendosi alla famiglia Ciontoli. E aggiune: "Martina per noi era come la figlia femmina che non avevamo e ci ha traditi, ha tradito l'amore di mio figlio, ha tradito Marco da subito". La mamma di Marco Vannini non ha nulla da dire a quella famiglia che "per me è come se non l'avessi mai conosciuta": "Devono pagare per quello che hanno fatto- spiega- ma forse ormai hanno detto bugie per così tanto tempo da essersi immedesimati nel ruolo che si sono disegnati e si sono convinti di essere innocenti".

Cosa sia avvenuto davvero quella notte è ancora un mistero, sotto molti punti di vista: "La verità la sa solamente Marco - ha precisato Marina Cont e- E ora lui non può più dirla, perché non c'è più". Ma, ora, mamma Marina spera almeno che il figlio abbia giustizia: "C'è rabbia, ma la rabbia non porta a niente. Aspetto fiduciosa nei giudici, perché tutto può succedere. Fino a che c'è vita, c'è speranza".

A 5 anni dalla morte, la famiglia Vannini continua a lottare perché chi ha causato la morte di Marco paghi: "In Cassaziobe si è avverato il miracolo e ora c'è tanta speranza, perché la nostra giustizia è lenta, ma alla fine arriva- conclude Marina Conte- Voglio che a mio figlio vengano ridati rispetto e dignità".

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