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Ultimo aiuto dal Colle. Ora Giuseppi è solo

Ieri, nel giorno del suo compleanno, Matteo Renzi si è ritrovato a decidere delle sorti del governo Conte. E il personaggio, uno può dire ciò che vuole, una sua linearità ce l'ha

Ultimo aiuto dal Colle. Ora Giuseppi è solo

Ieri, nel giorno del suo compleanno, Matteo Renzi si è ritrovato a decidere delle sorti del governo Conte. E il personaggio, uno può dire ciò che vuole, una sua linearità ce l'ha: se si convince di una strategia davvero, va avanti anche se gli danno del pazzo, resiste a tutte le pressioni, non molla. Il referendum che ha perso lo dimostra. Ha raccontato ieri a tutti quelli che gli hanno telefonato per fargli gli auguri: «Io volevo far dimettere le ministre di Italia viva già domani (oggi, ndr). Ancor prima del Consiglio dei ministri. Poi sono arrivati da più parti i consigli, le pressioni, le raccomandazioni del Quirinale sul Recovery plan. Molti mi hanno posto un problema di responsabilità, mi hanno chiesto di approvare prima il piano. Allora ok facciamolo: noi in Consiglio dei ministri ci asterremo o daremo un sì tecnico. Solo che il problema è un altro: Conte ancora non ci ha dato il testo del piano, ancora non ce l'ha. Viene da piangere. Detto questo un fatto è assodato: un minuto prima del Consiglio dei ministri, nel mentre o un minuto dopo, i ministri di Italia viva si dimetteranno e si apriranno i giochi. Ci sarà la crisi».

Quello che invece ha maturato una sorta di idiosincrasia verso le dimissioni è l'altro duellante, Giuseppe Conte. Emanazione del grillismo di governo il premier ha subito una profonda modifica del Dna: nella metamorfosi ha contratto una poltronite acuta. Al solo sentir pronunciare la parola dimissioni si sente male. Per sollevarlo dal 14 febbraio dell'anno scorso, giorno di San Valentino, il portavoce Roccobello Casalino, prima e dopo la pandemia, è portatore di una profezia che ripete a tutti i suoi interlocutori come una litania: «Amore, ci sarà un Conte ter, stai tranquillo». Solo che il premier non si fida delle doti divinatorie del suo oracolo e per evitare il trauma di rimettere il mandato nelle mani del Capo dello Stato le ha pensate tutte tranne, almeno fino ad oggi, di scrivere il testo definitivo del Recovery plan: ha escogitato, invece, di modificare il decreto Bassanini per aumentare il numero dei ministeri, dividendo le infrastrutture dai trasporti, cosa che gli permetterebbe di avere più posti da offrire (una furbata per un democristiano, il colmo per un premier 5stelle); o ancora, immaginare addirittura un rimpasto per decreto. Insomma, la fantasia al Potere e la Costituzione sotto i piedi.

Al Colle hanno ascoltato questa lista di «rimedi», ma come tutti sanno i colloqui con Mattarella finiscono sempre con un «vedremo». Così il premier è andato ad allungare la lista degli archeologi che per una vita nel deserto di Giza hanno fissato gli occhi della Sfinge tentando di carpirne i segreti. Eh sì, perché con Mattarella non si può mai dire: domenica scorsa si è accorto che bisogna approvare il Recovery plan in fretta perché l'Europa non aspetta. Magari avrebbe potuto tirare le orecchie un po' prima al governo, per evitare che il piano fosse approvato all'ultimo minuto come la legge di Bilancio di quest'anno. Questa fretta naturalmente è un aiuto al premier. Come l'idea di fronte alla rottura di «congelare» le dimissioni di Conte per permettergli di confrontarsi con i renziani prima di tentare la prova di forza in Parlamento. Ma non è detto, sull'altro versante, che per convincere Renzi a far slittare di qualche giorno le dimissioni delle sue ministre, il Colle non gli abbia assicurato che il chiarimento sfocerà, in ogni caso, in quello spauracchio per Conte che è la crisi di governo. I misteriosi e tortuosi disegni della Sfinge sfuggono alla «ratio» dei comuni mortali: il sottoscritto ricorda ancora che quando Renzi si dimise da premier, il Colle gli assicurò che dopo tre giorni lo avrebbe mandato alle Camere, nel mentre, invece, mise in piedi un altro governo. Cose che capitano con gli inquilini del Quirinale che nella maggior parte dei casi hanno un'unica bussola: non avere guai.

Ecco perché per orientarsi bisogna ascoltare un personaggio come Pierferdinando Casini, che ha ricoperto in passato incarichi istituzionali, cosa che gli permette di avere un aplomb superpartes. Diceva ieri pomeriggio l'ex presidente della Camera con il tono dell'arbitro: «La verità è che Conte sta facendo il furbo. Pensa di poter minacciare gli altri con la carta delle elezioni anticipate. È convinto che se si andasse al voto, il Pd e i 5stelle nei guai lo presenterebbero alle elezioni come il nuovo Prodi. In quel caso se vincesse tornerebbe a Palazzo Chigi, altrimenti farebbe il capo dell'opposizione». Sono i piani che scaturiscono dalla mente del generale von Clausewitz della politica italiana, Marco Travaglio: sogni di gloria che nella realtà (basta vedere le previsioni di You Trend) sfocerebbero in un'altra «gioiosa macchina da guerra di Occhetto». In altre parole, in un'altra sconfitta storica per la sinistra. «È il motivo confidava ancora ieri Casini per cui nelle ultime ore il Pd ha cominciato a fare un gioco diverso da Conte. Si è accorto, anche se in ritardo, dove si andava a parare, che poteva finire male. E Conte di conseguenza, più isolato, ha cominciato ad accettare l'idea della crisi. Aperta la crisi, si apriranno i giochi. Se Conte è capace, se riuscirà a governare le esigenze di tutti, farà il Conte ter. Se, invece, tornerà a fare il furbo si farà un altro governo, con un premier tipo Cottarelli».

Appunto, ormai tutti si sono convinti che la «crisi» ci sarà. «A quel punto sono gli scenari che Renzi ha spiegato ai suoi o ci sarà il Conte ter, ma non vedo in Conte le capacità politiche per condurlo in porto, quando vedo Casalino che ripete spianeremo Renzi in Parlamento. Non so se ha in tasca i voti dei responsabili, ma non credo. La seconda ipotesi prevede un altro premier con la stessa maggioranza, magari aperta ad altri settori moderati, chessò come i totiani o l'Udc. È un'ipotesi che per gli errori di Conte si sta facendo largo anche nel Pd e in un pezzo di 5stelle. Ma che verrà fuori ovviamente a crisi aperta, quando tutte le carte saranno calate sul tavolo. La terza ipotesi è un governo tecnico, aperto a tutti. Anche all'opposizione. È un'ipotesi che non mi dispiace. Tutt'altro».

Già, aperta la crisi si vedrà. Il fatto più positivo per Renzi è che tutti hanno cominciato a capire che non è il solito «al lupo, al lupo», ma che questa volta fa sul serio. Il capo dei governisti del Pd, Dario Franceschini, lo ha detto al premier e ai suoi compagni di partito: «Renzi i ministri li ritira, non scherza». E visto che le cose si stanno facendo serie ieri il leader di Italia viva ha ricevuto anche la telefonata del Cav.

In fondo è proprio l'interessato il primo ad essere consapevole che non può fermarsi: «Se questa volta torno indietro ha detto Renzi ieri, il giorno del suo compleanno perdo la faccia davvero! E non posso permettermelo data l'età».

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