In Vaticano serve un Papa, non un parroco

Perché alla fine questi tempi di gran tempesta avevano forse bisogno di un Papa e non di un "parroco", come ha detto Francesco di sé in questi giorni di santificazione a media unificati e uniformati

23 marzo 2013: Papa Francesco e Papa Benedetto XVI pregano assieme a Castel Gandolfo
23 marzo 2013: Papa Francesco e Papa Benedetto XVI pregano assieme a Castel Gandolfo

Perché alla fine questi tempi di gran tempesta avevano forse bisogno di un Papa e non di un «parroco», come ha detto Francesco di sé in questi giorni di santificazione a media unificati e uniformati. Marco Travaglio e Fatto quotidiano compresi, a cui il pontefice ha rilasciato ieri un'intervista in esclusiva proprio nel decimo anniversario dell'elezione. Quando il cardinale Bergoglio sibi imposuit nomen Francesco, il poverello d'Assisi a cui nessuno in duemila anni aveva mai pensato. E invece lui, argentino e gesuita, aveva immediatamente sbiancato l'immagine di potenziale papa nero, marchiando fin dal nome l'operazione di marketing vaticano da offrire urbi et orbi.

Certo, succedere a due titani come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI era impresa da far tremare anche il vicario di Cristo e quindi di Dio in terra. Perché il primo oltre ad abbattere il Muro di Berlino aveva saputo fare del suo corpo martirio e dunque testimonianza in diretta tivù, prima con le pallottole dell'attentato e poi con la sfida alla malattia. Mutando per sempre la rappresentazione iconografica del corpo di un pontifex che si è fatto letteralmente ponte per chi aveva la voglia di seguirlo nel cuore dell'edonismo di quegli sconsacrati anni Ottanta. Ancor più complicato per Francesco il confronto con Benedetto con il quale gli è toccata in sorte la prima convivenza di due Santità. E qui lo scontro non è stato sulle immagini, ma sul granito della dottrina. Per cui da un lato era semplice opporre a chi era stato immediatamente marchiato dagli atei e dai cattolici conniventi come il «Pastore tedesco» ideale bersaglio di ogni sfregio, ma dall'altro c'era il raffinato teologo che perfino in ogni Angelus domenicale scolpiva pagine di Cristianesimo fatto filosofia. Papa in grado di sedurre alti intelletti e insieme cuori sinceri, tutti accomunati dal fascino intellettuale prima che religioso, o religioso perché grandiosamente intellettuale, della grande intuizione di Joseph Ratzinger che fece della lotta al «pernicioso relativismo» la vera Crociata di quei suoi anni. Che oggi sono ancora i nostri. Perché cento anni dopo Spengler, proprio lì sta il tramonto dell'Occidente e quel gigante di Benedetto l'ha decifrato e predicato fino a perdere la voce. Fino al giorno in cui heideggeriamente il suo acuminato pensiero teologico si è fatto poesia, sussurrando che «Dio mi ha tolto la parola per farmi apprezzare il silenzio». E assicurando che era il momento di prepararsi a quell'incontro atteso da sempre. Vita nella morte, il farsi terreno di un Papa che in un attimo si fa anziano e quindi persona, unita alla profondità e fragilità di tutta la filosofia del Novecento pronunciata fiato di infinita umanità.

Ecco perché, e torniamo qui alla prima riga, forse più di un parroco oggi il gregge dei fedeli e pure quello degli infedeli ha bisogno di un Papa. Perché a naufragare nel relativismo è l'Occidente, trascinato a fondo da un Cristianesimo che di quella civiltà è l'anima. Ma si impoverisce e annacqua, proprio mentre le altre religioni si stanno invece radicalizzando nelle loro dottrine. Basti guardare all'Islam e a Santa Sofia di Istanbul che diventata museo nel 1935, oggi è tornata a essere moschea, ridisegnando il solco invalicabile tra una religione che affida alla Guerra santa la conquista anche fisica dell'altro da sé. Mentre il Cristianesimo si fonda sulla predicazione e quindi sulla riconduzione razionale dell'altro a sé. Ma colpisce anche il ritorno alla profondità del culto e, si badi bene, del rito originario di tanti ebrei che proprio nell'abbandono della laicità stanno trovando il principale fattore di coesione di un popolo che si trova ad affrontare vecchi e nuovi nemici. E quindi sia benedetto, ma proprio Benedetto, il discorso di Ratisbona che in «Fede, ragione e università» era vera summa teologica e antropologica. Perché Dio si fa uomo e l'uomo è fatto da Dio a sua immagine e somiglianza.

Detto questo, il bello dei Papi è che in quanto opere dello Spirito Santo e quindi di Dio stesso, non possono essere giudicati da fedeli e di quello che di loro pensano gli infedeli poco dovrebbe importare. «Chi sono io per giudicare» disse una volta Francesco. Sarebbe venuto da rispondere, con il dovuto rispetto, che lui è il Papa.

Di cui vanno comunque lodate la lotta alla pedofilia, peraltro impostata con vigore da Benedetto senza che gli sia mai riconosciuto, quella alle malversazioni finanziarie, il pugno duro sulla curia diventata verminaio di potere e di poteri. E quell'immagine sul sagrato di San Pietro deserto e piovoso a confortare da vero pastore un'umanità atterrita dal Covid. Una grazia.

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