Parlo per fatto personale, avendo passato in Veneto (pur con papà friulano e mamma sarda) le ore più felici. E questo grazie agli amici e ai pensieri resi leggeri e profondi dal frutto più pregiato della vigna. Di qui un sorriso, mio e degli amici, alla sentenza della Cassazione secondo cui dire che «i veneti sono un popolo di ubriaconi» non è reato. E la conseguente archiviazione della denuncia a Oliviero Toscani di quattro «nativi» che si erano sentiti offesi sentendo dire alla trasmissione radio «La zanzara» che «i veneti sono un popolo di ubriaconi, alcolizzati atavici. I nonni, i padri, le madri: poveretti i veneti, non è colpa loro se uno nasce in quel posto, è un destino. Basta sentire l'accento veneto: è da ubriachi, da alcolizzati, da ombretta, da vino».
A Toscani, invece che una denuncia, andrebbe spiegato che l'ambasciatore della Serenissima Repubblica di Venezia era l'unico di fronte al quale l'imperatore della Cina sentisse il dovere di alzarsi in piedi. E per questo, detto che l'insulto alla mamma dandole dell'ubriacona dovrebbe già di per sé essere un reato e anche punito con severità, sul resto appaiono davvero singolari le motivazioni dei giudici che nelle parole di Toscani non ravvisano «l'incitazione all'odio etnico verso i veneti», come hanno sostenuto i denuncianti invocando l'applicazione della Legge Mancino. Perché, secondo gli ermellini, «la discriminazione per motivi razziali è quella fondata sulle qualità personali del soggetto e non, invece, sui suoi comportamenti». Tipo alzare un po' il gomito.
Strane considerazioni. Se così fosse, non dovrebbe essere reato nemmeno dire che tutti gli ebrei sono dediti all'usura e che i rom vivono dedicandosi ai furti.
E perfino imputare agli abitanti dell'Africa nera una maggior attitudine alla corsa e al passaggio di liana in liana, piuttosto che allo studio della Divina commedia. Fa nulla. Par di sentire dal Veneto un levarsi di calici. Alla salute degli attempati giudici della Cassazione.
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