Coronavirus

In Veneto record di contagi. Ecco perché la regione soffre il virus

Nonostante un ottimo tracciamento ed un sistema sanitario regionale tra i migliori d'Italia, il Veneto soffre ancora un'importante circolazione del virus, di contagi e di morti: la zona gialla è una delle cause principali

In Veneto record di contagi. Ecco perché la regione soffre il virus

Quasi tutte le regioni italiane fanno registrare un lieve calo nei casi giornalieri di contagi e di posti letto occupati negli ospedali e nelle terapie intensive. Non è così, invece, per il Veneto, che con 4.092 nuovi casi nelle ultime 24 ore si piazza al primo posto nazionale e l'indice Rt non ne vuole sapere di abbassarsi.

Quali sono le cause?

Il report settimanale dell'Istituto Superiore di Sanità parla chiaro: l'incidenza del virus ogni 100mila abitanti rimane la più alta d'Italia, ancor più della Lombardia epicentro della prima ondata. E la curva epidemiologica non ha ancora raggiunto il picco come è già successo nelle altre regioni. Quali possono essere le motivazioni? In questi casi c'è sempre un concorso di colpe: distanziamento non rispettato, alta densità abitativa nelle grandi città e, non di poco conto, l'essere sempre rimasti in zona gialla quando i numeri avrebbero, forse, dovuto invitare ad una maggiore prudenza.

"Certi comportamenti hanno conseguenze"

Fra i tre colori, la zona gialla è quella con minori restrizioni di tutti ed il governatore Zaia, giustamente, non l'ha presa bene. "Mi sembra chiaro che non abbiamo più paura di morire. Io non sono per uno stato di polizia, ma deve essere chiaro a tutti che certi comportamenti hanno delle conseguenze", ha risposto in un'intervista al Corriere della Sera. "Nonostante la zona gialla, io ho adottato un'ordinanza che chiudeva le grandi e medie strutture di vendita al sabato, tutti i negozi alla domenica, e imponeva un cliente ogni 20 metri quadrati", aggiunge a proposito degli alti contagi in regione.

La zona gialla del Veneto è dovuta essenzialmente a due fattori: nonostante l'altissimo numero di casi l'Rt è di 0,91 e, per diventare arancione, era necessario che fosse all'1,25; paradossalmente, poi, la Regione "paga" il prezzo di avere un ottimo sistema sanitario così come la capacità di tracciamento territoriale, la più alta in Italia con un contact tracing dell'85,5% contro il 60% della media nazionale. Questi due fattori, insieme, hanno mantenuto il Veneto in zona gialla ma non è stato un bene. Infatti, il Coordinamento veneto per la Sanità pubblica (CoVeSaP) ha scritto al ministro della Salute, Roberto Speranza, per chiedere "di rivalutare con urgenza l’attuale classificazione di rischio giallo", e al governatore Luca Zaia per sollecitare "l’adozione immediata di misure più stringenti".

I numeri negli ospedali

Intanto, negli ospedali si superano i numeri di marzo-aprile. "Il nostro picco di ricoveri in lockdown è stato il 4 aprile con 2.028 ricoverati. Oggi siamo a 3.244 ricoverati. In intensiva, la punta massima era stata di 356 persone, oggi siamo a 369", spiega Zaia. E poi, sull'alto numero dei decessi non pesa, ovviamente, la capacità di tracciamento dell'epidemia. Il governatore invita i cittadini ad un maggior rispetto delle regole perché "c'è una parte non maggioritaria ma molto visibile della popolazione che ritiene che la gestione del Covid sia un problema delle istituzioni, semplicemente burocratico. Si vogliono più regole? Guardate i tg: tutti i passeggianti intervistati dicono la stessa cosa: 'Non è vietato'. L'aver evitato restrizioni importanti come le Regioni che sono diventate arancioni o rosse, per le quali il divieto di spostamento dei Comuni ha limitato i danni, sta causando i numeri di oggi nelle provincie venete.

"È normale che il virus circoli"

"C’erano già molti casi in Veneto a novembre. Abbiamo tenuto tutto aperto perché eravamo in zona gialla e la curva dei contagi non è scesa. È normale che il virus continui a circolare, non mi sorprende – ha affermato l'immunologa Antonella Viola, docente di Patologia all’Università di Padova in un'intervista al Corriere. "Ieri Padova era piena di persone in giro: le città sono così. Da un lato vedo le file per entrare nei negozi uno alla volta, dall’altro i bar con fuori gruppi di persone che senza mascherina bevono, fumano, chiacchierano e stanno tutti appiccicati. L’aperitivo prima si faceva alle sei, adesso si fa dalle tre in poi. Non è più il momento di fare appelli alla popolazione, bisogna fare i controlli e dare le multe". Per limitare i danni, la Regione ha varato alcune regole più restrittive (come l’obbligo di consumazione al tavolo nei bar a partire dalle 11), ma attende ogni venerdì che il ministro della Salute firmi l’eventuale spostamento verso un’altra fascia.

Modello Germania?

Anche in presenza di un buon tracciamento e un numero di posti letto ospedalieri più alto rispetto a tante altre Regioni d’Italia, il virus può sfuggire al controllo ed il buon senso vorrebbe misure più restrittive come quelle che sta per prendere la Germania, dove il "lockdown light" è fallito e si corre ai ripari durante le festività natalizie con un ritorno ad un lockdown totale dal prossimo mercoledì e per almeno 24 giorni. "Effettivamente sembra che i Paesi (o le Regioni) cui sono state imposte più restrizioni abbiano un abbassamento più precoce della curva epidemica – afferma Paolo Bonanni, epidemiologo e Professore Ordinario di Igiene all’Università di Firenze.

In attesa di cosa il governo nazionale deciderà nelle prossime ore, come la Germania così il Veneto avrebbe (forse) dovuto chiudere prima: la tempistica è fondamentale per evitare morti e nuovi ricoveri. Uno studio fatto dalla Columbia University di New York sulla prima ondata ha dimostrato come lo stesso intervento applicato anche soltanto una o due settimane prima, sarebbe bastato ad evitare il 61,6% delle infezioni a livello nazionale ed il 55,0% dei decessi segnalati al 3 maggio negli Stati Uniti.

Che si prenda spunto, prima che sia troppo tardi.

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