Dopo 135 giorni il governo Meloni apre i primi dossier che contano. Quelli economici. Non è una sorpresa: la premier lo aveva detto chiaro fin dalle prime ore successive al giuramento del 22 ottobre scorso quando, senza il tempo di tirare il fiato, l'esecutivo si era immerso nella stesura della manovra di Bilancio. Una legge che ha trasmesso ben poco slancio a chi nel centrodestra si aspettava di più, per esempio su fisco e pensioni; ma che ha tranquillizzato tutti coloro che, più realisticamente, temevano provvedimenti pericolosi per la tenuta dei conti pubblici. La strada, per il Paese più indebitato dell'eurozona, era stretta e ben nota tanto a Roma quanto a Bruxelles e a Francoforte. D'altra parte, quanto può essere grave l'onere di scelte politiche scomposte lo abbiamo scoperto tutti insieme un mesetto fa, quando è scoppiata la bolla del Superbonus, eredità dei governi precedenti.
In questi 135 giorni la cifra dell'attività di questo governo è stata di volta in volta misurata sulle questioni più varie. Si è passati dalle accise sulla benzina, al carcere duro per l'anarchico Cospito; dal video di Zelensky a Sanremo, al bubbone del Superbonus. Negli intervalli abbiamo avuto, tra l'altro, l'ipotetico figlio gay di La Russa o le gaffe del ministro Valditara. Non che queste storie non fossero importanti o non meritassero di essere discusse. Ma ogni questione finiva per essere presentata come la prova del nove o l'esame di maturità di questo nuovo governo del Paese, con tanto di tifoserie schierate di qua e di là. Peccato che non è su questo che gli elettori votano alle politiche.
Certo sì, lo «stato emotivo» di ogni singola questione conta e anche molto nell'appartenenza a una parte politica. E nel dibattito quotidiano. Ma poi non ci governi mai un Paese. La più grande ed evoluta democrazia del pianeta, gli Usa, insegna che sono le questioni economiche quelle che alla lunga trascinano e determinano longeve leadership politiche. Al cittadino medio del mondo occidentale interessa il benessere, privato e collettivo. Interessano la sanità, le tasse, il reddito, le pensioni. Sapere come far ripartire l'ascensore sociale, fermo da tempo: interessa capire se e come fare la manutenzione per rimetterlo in moto.
Ora, quando il 2023 è ancora all'inizio, l'impressione è che, con la riforma del fisco e quella del reddito di cittadinanza, la macchina si sia messa in moto. Gli obiettivi sono tanto ambiziosi quanto difficili da programmare perché lo scenario congiunturale era e resta pessimo.
Il duello che la Bce sta conducendo contro l'inflazione alzando i tassi d'interesse è la situazione peggiore per un Paese indebitato fino al collo e a cui servono misure espansive. Partire prima, in ogni caso, non era possibile. Farlo adesso è doveroso e permette di dare all'azione di governo la prospettiva che ancora mancava. È come se la partita iniziasse adesso.
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