Quando abbiamo letto che il sottosegretario Andrea Martella ha creato una task force contro le fake news (e viva la lingua italiana!) pensavamo volesse porre rimedio alla catastrofica comunicazione del suo governo, oppure indagare come mai le cifre dei morti in alcuni Paesi, Cina e Germania, non persuadano nessuno. E invece abbiamo scoperto che la task force si occuperà di scoprire quali siano le false notizie, anche con l'aiuto di «cittadini e utenti social» (si immagina con lettera anonima) e di «sensibilizzare attraverso campagne di comunicazione». E, sarà per il burocratese, in quanto tale sempre ambiguo, ma si sente subito afrore di Grande Fratello, non il reality ma il ministero della Verità di 1984. Distinguere il vero dal falso, accidenti, un compito che mise in difficoltà Platone e Aristotele.
Ci aspettavamo quindi che gli «esperti» chiamati da Martella fossero al di sopra di qualsiasi sospetto per autorevolezza. Invece, a parte tre professori universitari (di cui una solo di ruolo) che fanno sempre fino e non impegnano, gli altri sono giornalisti web, noti più che altro per avere sempre combattuto contro i «populisti», che poi sarebbe l'opposizione, da Salvini a Meloni. Per la verità, fino ad agosto erano anche fieri avversari dei 5 stelle, ma ora non più... Il problema non sta però solo nella qualità degli esperti. Anche se nella commissione vedessimo dei redivivi Popper e Bobbio, sarebbe un'iniziativa sbagliata e inquietante. A decidere quale sarà l'informazione falsa è una commissione del governo, e già qui siamo al di fuori dell'ordinamento liberale. Che poi a raccogliere informazioni sia utilizzata anche la delazione, getta un'ulteriore ombra.
Ma poi, soprattutto, cosa è richiesto a questi gentili esperti di regime? «Contrastare» le false notizie. Cosa vuole dire? Inoltrare alla polizia? Non abbiamo visto però il Dpcm che abolisce l'articolo 21 della Costituzione. Istituire una gogna pubblica, su portale governativo, ove additare i reprobi? O, più probabilmente, segnalare i supposti falsari alle piattaforme web per chiedere la chiusura di profili, ma anche potenzialmente di pubblicazioni online? Per quanto non si escludano le prime due ipotesi, conoscendo i nostri polli, è probabile la terza. Si domanderà cioè a Google, Facebook, Twitter e via dicendo di censurare, cosa che queste piattaforme fanno già alla grande, colpendo quasi sempre a destra e quasi mai a sinistra. Con il pretesto del Coronavirus, a noi sembra che questa commissione si fissi il medesimo obiettivo di leggi liberticide votate nei mesi scorsi in Francia e Germania. Con una differenza fondamentale: là sono state appunto votate, il Parlamento ha discusso per mesi, e poi ha vinto la maggioranza, quella scelta dai cittadini. Qui, invece, in linea con il metodo Conte, un'oscura commissione pare fissarsi gli stessi obiettivi. E magari dobbiamo anche ringraziare Martella che ci ha informato via social, perché a quanto pare gli esponenti dell'opposizione di nulla erano a conoscenza: alla faccia della «cabina di regia». Nel gennaio scorso, il ministro della Sanità francese, anch'egli socialista come Martella, spiegò candidamente che, di fronte a una pandemia, il governo avrebbe dovuto chiudere i social, o almeno limitarli, «come fanno in Cina».
E se in Francia sulla via cinese ancora non hanno proceduto, in Italia, dove i referenti ideologici del governo paiono essere Pechino e Caracas, non vorremmo che la «commissione Martella» fosse il primo passo, già comunque grave, per tingere di giallo (e di rosso) il rapporto tra potere e informazione.
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