Ma il vero errore è inseguire lo share

Un siparietto esilarante quello andato in onda sabato nel pomeriggio di RaiUno, mancava solo Platinette. Peccato che lo spettatore fosse sintonizzato sulla rete ammiraglia della tv pubblica. Il cortocircuito è tutto qui

Ma il vero errore è inseguire lo share

Se il guaio della Rai fossero le donne dell'Est, basterebbe rimpiazzarle con quelle dell'Ovest, notoriamente fedifraghe in pigiamone, o incoronare la Loren miss Svezia e conferire alla Ekberg il titolo della sicula più bella. Un siparietto esilarante quello andato in onda sabato nel pomeriggio di RaiUno, mancava solo Platinette. Peccato che lo spettatore fosse sintonizzato sulla rete ammiraglia della tv pubblica. Il cortocircuito è tutto qui. Ma lo scandalo non è il giochino sullo stereotipo sopra le righe: la tv pubblica che immagazzina canone e pubblicità può inseguire la legge degli ascolti a ogni costo? In teoria, a patto di rinunciare al canone e accettare la sfida del libero mercato. Invece la Rai di giocare ad armi pari non vuol sentir parlare. Ma allora ci aspettiamo il servizio pubblico per davvero, quella qualità che si vede solo nei format di Angela padre e figlio.

Se così non è, il giochino puzza d'inganno, chiamatela pure concorrenza sleale. Dati alla mano, a parte le fiction dove la Rai batte Mediaset, quando Canale5 sguinzaglia le sue «dominatrix dell'auditel» (copyright Dagospia) - D'Urso, De Filippi, Palombelli e Toffanin il Biscione vince. Il guaio della Rai, dunque, non sono le donne dell'Est, ma il paradosso di un ibrido aziendale che incassa il canone e insegue lo sporco Auditel come una velina qualunque. Dalla Rai, invece, ci aspetteremmo fantasia, innovazione, la responsabilità di sperimentare con audacia proprio in virtù del ruolo pubblico che riveste. In passato la Rai è stata avanguardia, pur nell'ordine della rigida lottizzazione partitica ha sfornato televisivamente i Ferrara e i Vespa, le telekabul, per quanto faziose e ideologizzate, hanno inventato i Santoro, i Lerner, gli Augias, le Leosini.

Oggi accendi un canale a caso e scorgi improvvisate conduttrici che maneggiano l'italiano come uno scolapasta, per carità le raccomandazioni sono sempre esistite e cancellarle sarebbe uno schiaffo all'umanità, ma c'è un problema profondo che Ettore Bernabei sintetizzò: «Il guaio della politica in Rai non sono le raccomandazioni. Il guaio è se rimangono solo le raccomandazioni e nessuno pensa più al prodotto». Ecco, a guardare da fuori si ha come l'impressione che la Rai odierna si sia scordata del prodotto. Contempla un glorioso passato galleggiando in un mediocre presente. Quando prova a immaginare il nuovo possibile, si affida a bravi giornalisti che non sono bravi direttori, a esperti manager che non si sono mai occupati di tv (con la sola eccezione, va detto, del direttore di RaiDue).

La Rai «renziana» doveva essere ribelle e creativa, invece fa discutere per gli auguri anticipati di Capodanno, per gli stipendi d'oro e le nomine illegittime, per le baruffe tra dirigenti, per il piano d'informazione che ancora non c'è (e fatelo, su). Mamma Rai ha perso la fantasia, le son rimasti i figli, numerosi e famelici.

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