Il vilipendio non è uguale per tutti

Il vilipendio non è uguale per tutti

Premetto che io, per reati d'opinione, non condannerei né l'uno né l'altro, se non con un monito o una multa simbolica per esortare al confronto civile o per affermare, nella pur aspra polemica, solo cose certe. Vediamo intanto che non esiste l'obbligatorietà dell'azione penale. Bossi è stato condannato per avere detto «terùn» a Napolitano, mentre nulla ha fatto la magistratura per sanzionare il vilipendio al presidente della Repubblica di Salvatore Borsellino, con accuse indimostrate e infondate. Il 22 dicembre 2013 Borsellino dichiarò: «Napolitano è il garante di quella trattativa Stato-mafia, sulla quale oggi è in corso un processo che si vuole fermare. Abbiamo un capo dello Stato che da più di vent'anni copre la congiura del silenzio sui patti scellerati tra Cosa nostra e le istituzioni». Mentre «terùn», nel caso di Napolitano, sarà volgare, ma è un dato di fatto; che egli sia stato il garante della trattativa con la mafia è falso e indimostrato.

Perché, oggi che non è più presidente, l'esaltato Borsellino non lo dice ancora? E perché non accusa i giudici, che hanno prosciolto Nicola Mancino e la procura che ha rinunciato al ricorso in Cassazione, riconoscendo la sentenza di assoluzione? Nonostante il mio esposto, presentato alla Procura di Roma il 9 gennaio 2014,

nessun fascicolo è stato aperto per il gravissimo vilipendio e le reiterate espressioni diffamatorie, e nessuna condanna, è stata inflitta a Salvatore Borsellino. Forse ha una speciale immunità? O forse è un intoccabile?

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