Una vita da vegano. La nuova frontiera del business in tavola

L'Italia è il secondo Paese dopo l'India per numero di fedelissimi, oltre un milione. Tanto che sempre più aziende offrono prodotti "cruelty free"

Una vita da vegano. La nuova frontiera del business in tavola

«Quando ho un vegano a cena mi vorrei ammazzare. Sono dei grandissimi rompiscatole». Così Alba Parietti ha catapultato il popolo vegano sulle pagine di gossip, etichettandolo come una specie di setta di fanatici. Ma con buona pace della signora Parietti gli italiani che non mangiano alimenti di origine animale, cioè né carne né pesce e neppure derivati come latte, formaggio e uova, sono in continuo aumento. Secondo l'indagine presentata a maggio 2015 da Gfk-Eurisko in collaborazione con l'azienda Tre Valli e l'Associazione vegani italiani onlus e Vegan Ok Network, le persone in Italia tra i 18 e i 64 anni che per motivi etici o salutistici hanno scelto questo regime dietetico sono quasi un milione e 150mila (il 3%). Il nostro Paese è secondo nel mondo solo all'India. I vegetariani sono il 6%, mentre crudisti e fruttariani sfiorano il 2%.

Boom di vegani vuol dire boom della vegan economy . La domanda di prodotti cruelty-free aumenta e le aziende adeguano l'offerta. Così negozi e supermercati. Renata Balducci, dal 2012 presidente di Assovegan, fa un bilancio: «Da tempo il mercato intercetta una tendenza in evoluzione. Oggi con il marchio etico Vegan Ok certifichiamo ben 200 aziende (che vendono articoli che non comportino “l'uccisione, la detenzione o lo sfruttamento di animali”, ndr ). La gamma di prodotti è molto ampia e comprende non solo alimenti, ma anche cosmetici, abiti, cibo per cani. Per quanto riguarda la grande distribuzione, molti supermercati hanno gamme di prodotti dedicate e cercano ogni giorno nuovi fornitori. Per il consumatore vegano è tutto più semplice». Non solo. Spesso anche chi non si è convertito al veganesimo prova a mangiare responsabile per un periodo, oppure è solo curioso. E il bacino si allarga. Sempre secondo Eurisko, quattro italiani su cinque conoscono gli alimenti a base di soia e il 40% li consuma abitualmente o li ha consumati almeno una volta negli ultimi sei mesi. L'acquirente tipo viene dal Nord-Ovest, abita in città e occupa posizioni dirigenziali. La maggior parte sono donne (58%) tra i 45 e i 54 anni (28%) e tanti hanno una laurea (17%). Ben il 54% ha deciso per la spesa «verde» nell'ultimo anno.

Ma quanto costano brioche cruelty-free e braciole vegetali? Il vegano è considerato un cliente di nicchia ma disposto a spendere. «A lungo termine i costi vengono ammortizzati da quello che si risparmia in spese per la salute», assicurano molti di loro. Federfauna, la confederazione degli allevatori, mette l'accento sui costi alti di questo stile di vita. E su quello che battezza come «marketing animalista». Un sistema che specula vendendo a prezzi maggiori di quelli di carne e pesce prodotti le cui materie prime - legumi, cereali, soia - hanno costi irrisori all'ingrosso.

Ecco la prova dello scontrino, fatta in un supermercato milanese. Un tubetto da 150 grammi di maionese di soia vale 2,39 euro, quello di un marchio conosciuto da 170 grammi è a 1,25 euro. Due cotolette vegetali surgelate costano 2,95 euro, cinque di quelle di pollo si comprano a 5,09 euro. Un litro di latte fresco di soia vale 2,39 euro, un litro di quello di mucca si vende a 1,19 euro. Ci sono anche i seitan burger (due per 2,89 euro), il tofu (2,89 euro per 360 grammi), l'affettato vegetale (100 grammi a 3,29 euro). Il conto sale se ci si rivolge ai negozi biologici o specializzati. Chi mangia vegano però non ci sta al luogo comune della dieta da ricchi. «In famiglia siamo in due e spendiamo 160 euro al mese per mangiare - spiega Renata Balducci, vegana pura da 16 anni -. I prodotti non sono sempre cari, frutta e verdura di stagione non lo sono. E poi cucino molto: certo i pasti pronti sono cari, ma è così anche per quelli comuni. Nel complesso un vegano spende meno di un onnivoro».

Neppure Michela Vittoria Brambilla, ex ministro che da molti anni evita i prodotti animali, ha dubbi. «Non è vero che i prodotti per vegetariani e vegani costano troppo - afferma la deputata di Forza Italia che ha presentato proposte di legge per introdurre la scelta veg nelle mense scolastiche e ospedaliere e per diffondere la cultura green nelle scuole -, io li consumo abitualmente. È risaputo che la carne costa più degli altri alimenti. In più ormai questa offerta si è affermata e la scelta è ampia». C'è stata anche un'evoluzione: piatti dall'aspetto poco invitante e dal gusto non proprio appetitoso sono diventati ingredienti ben presentati e saporiti da preparare in mille modi.

Chi ha fiutato il business non si limita a immettere sul mercato nuovi articoli. C'è chi al grido di «go vegan» ha intrapreso strade originali o si è inventato una professione. T-shirt, scarpe e creme «animal free» sono facili da trovare non solo on line. «Universo vegano» ha aperto in franchising una ventina di fast food, mentre entro l'anno arriverà dalla Germania «Veganz», il supermarket dedicato. Roberta Bartocci, biologa nutrizionista, nel 2011 è diventata Vegcoach, con tanto di marchio registrato. Viene da una famiglia di allevatori e macellai, è vegana da 15 anni e segue chi vuole fare il salto. «Il primo passo è cambiare ordine di idee. Ciò che di solito consideriamo un contorno, le verdure, diventa la base dell'alimentazione. Cambiare stile di vita non vuol dire solo eliminare certi cibi, ma sostituirli e reimpostare le nostre giornate, assumendo cinque gruppi fondamentali: cereali sempre diversi, legumi, frutta secca, frutta e verdura». Come vanno le richieste? «Bene. Il settore è in crescita esponenziale. Non lavoro solo con vegani o aspiranti vegani, ma anche con aziende e ristoranti che vogliono adottare un menu ad hoc». A questo si aggiunge la nuova frontiera dei «meat substitutes», i sostituti della carne di seconda generazione, che negli Usa attira gli investimenti dei big della Silicon Valley e che in Europa ha il bacino maggiore. In arrivo Impossible Foods che produce hamburger e salumi con un composto del ferro, l' heme , che dà ai cibi gusto, consistenza e colore simili a quelli del manzo. E Hampton Creek, che ricava uova da un mix di piselli, semi di girasole e olio di colza.

C'è il rovescio della medaglia. Il successo rischia di trasformare la rivoluzione vegana non solo in una moda ma anche nell'ennesimo trend consumistico. «Le scelte etiche sono del tutto personali - sottolinea Michela Vittoria Brambilla -, non si impongono né si adottano per moda. Dobbiamo tutti andare verso questo stile di vita, per l'orrore cui sono sottoposti gli animali negli allevamenti intesivi, per la nostra salute e per tutelare l'ambiente. L'Italia è già più avanti di molti Paesi e vegetariani e vegani si diffonderanno sempre di più grazie alle nuove generazioni». È d'accordo Renata Balducci: «Se qualcuno intraprende il veganesimo per moda? Certo. Ma se si fa questa scelta con consapevolezza e compassione, non si torna indietro.

E se si fa per emulazione, magari poi si comincia a stare meglio e si approfondisce l'argomento. Ci sono quelli che improvvisano e poi tornano onnivori, ma sono di più le persone che si aggiungono alle nostre file. Basti pensare che nel 2010 eravamo appena 700mila. È che noi vegani siamo contagiosi».

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