Bipartisan, come solo un giornalista imparziale sa essere. E coinvolgente, come solo un giornalista che racconta la realtà col cuore sa fare. Perché «emozione e imparzialità», diceva, sono gli ingredienti che fanno di un giornalista qualunque un giornalista vincente. E Pietro Calabrese, di «imparzialità ed emozione», ne aveva tanta, da vendere. Tanta da riuscire a condividere con i lettori persino il suo tunnel, la malattia, che ieri, dopo un anno di battaglia,se l’è portato via, a 66 anni.
È morto nella sua Roma, Pietro Calabrese, la città in cui era nato e che amava, anche se nel suo cuore c’era anche la Sicilia, la terra d’origine dei suoi genitori.Era ricoverato in clinica, a causa di un tumore al polmone, scoperto per caso. Una battaglia dura, quella contro il cancro e contro i «pipistrelli », così chiamava i linfonodi intaccati che lo stavano uccidendo. Una battaglia che Calabrese aveva esorcizzato, raccontandola in terza persona, come se il malato fosse un suo amico, Gino, su Sette , il magazine del Corriere della Sera . La solidarietà della gente, tanta, lo aveva stupito e commosso. E il diario della malattia di Pietro-Gino era continuato. Sul settimanale e anche in un libro, L’albero dei mille anni , che Calabrese non è riuscito a veder nascere, perché uscirà il prossimo 29 settembre: «Non avevo mai immaginato potesse accadere così –scrive –è accaduto.Ha ragione Woody Allen in quella battuta sulfurea di un suo vecchio film: “In questa nostra epoca le due parole più belle che si possono ascoltare non sono ti amo ma è benigno...”».
Cronista di razza, Pietro Calabrese. Il suo primissimo impiego, dopo la laurea in Giurisprudenza, era stato a Montecitorio, come funzionario parlamentare. Ma lo aveva lasciato per seguire la sua grande passione, il giornalismo. Prima l’agenzia Ansa, poi il Messaggero , quotidiano che ha attraversato in tutti i ranghi da corrispondente da Parigi sino alla direzione, dal ’96 al ’99. E poi ancora l’Espresso ,la Rai,la direzione di Capital , di Panorama . E la sua «maglia rosa, la Gazzetta dello Sport , dopo Candido Cannavò. Romano,di quella«banda romanista ultras », disse una volta Barbara Palombelli, di cui fanno parte Paolo Liguori, Mino Fuccillo e Roberto D’Agostino, il primo a dare nel 2002 la notizia dell’arrivo di Calabrese alla Gazzetta . Romano, ma anche siciliano dentro, di quella sicilianità fatta di filosofia di vita, di ironia. Proprio alla sua Sicilia Calabrese si era avvicinato recentemente, scrivendo con Giuseppe Tornatore, Baarìa, il film della mia vita , il racconto della sceneggiatura del colossal del regista.
«Emozione – diceva Calabrese – ecco la nostra arma. Se riusciamo a raccontare con imparzialità ma con emozione abbiamo vinto». E lui l’arma dell’emozione la usava. Insieme a quella dell’imparzialità. Infatti era amico di tutti, da destra a sinistra. E con toni affettuosi è tutto il mondo politico che oggi si stringe alla famiglia, alla moglie Barbara e alla figlia Costanza, giornalista del Tg5 . Messaggi di cordoglio sono arrivati, tra gli altri, dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, dal presidente del Senato Renato Schifani, dal premier Silvio Berlusconi. «Con Calabrese – ha detto – scompare un caro amico, un maestro di giornalismo». Commosso Paolo Bonaiuti: «Con lui scompare un amico degli anni magici e indimenticabili al Messaggero , un giornalista di razza che ho conosciuto troppo da vicino per poterlo ricordare senza una viva emozione e altrettanta commozione ».E poi Rutelli e Veltroni,con i quali Calabrese aveva collaborato per la candidatura di Roma alle Olimpiadi 2004 e per la Festa del Cinema.
Un incarico che aveva
lasciato dopo l’elezione a sindaco di Gianni Alemanno. Che oggi dice: «Roma si inginocchia davanti a lui». I funerali domani alle 11, nella chiesa di San Roberto Bellarmino.
DIARIO IN PUBBLICO
"Era un controllo di routine, ma a Gino il mio amico, hanno trovato un tumore"
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