CROVI «Baricco è soltanto multimedialità applicata»

Il grande salto dell’editoria italiana (cioè il passaggio dalle pubblicazioni tipografiche a una casa editrice vera e propria) avviene nel 1818 con la nascita di Sonzogno, che organizza una serie di collane di classici del pensiero, dell’arte e della letteratura, costruendo una sorta di enciclopedia alla quale gli scrittori della mia generazione e della precedente hanno potuto attingere.
Nel 1843 nasce l’esperienza editoriale fiorentina di Le Monnier, che fa gestire da ricercatori accademici una saldatura tra il livello enciclopedico popolare e il rispettivo status quaestionis universitario. A ruota la casa editrice Barbera (1854), attraverso libri di formazione (manuali e guide), ma anche storie fiabesche, introduce un’importante innovazione: una pedagogia sociale e antimoralistica guidata da Carlo Collodi e Ida Baccini. Treves nel 1861 comincia la sua attività divenendo l’editore di Giovanni Verga, di Gabriele D’Annunzio, di Matilde Serao, di Luigi Pirandello: gli scrittori che inquadrano il processo sociale. Parallelamente l’editore Bemporad (1871) inizia la produzione di manuali e di codici (per capirsi: a lui si deve la pubblicazione dell’epistolario di Mazzini), attraverso i quali delinea il processo di sviluppo economico e legislativo della nazione, grazie ai suggerimenti di Vittorio Emanuele Orlando (che diventa poi parlamentare e statista). La tappa successiva è la nascita di Laterza nel 1901 quando, con l’impronta decisiva di Benedetto Croce, si passa dalla cultura giuridica a quella filosofica. Poi nascono Mondadori (1907), Einaudi e Bompiani (1933), Feltrinelli (1954), Il Saggiatore (1958), Adelphi (1962). La ricerca dell’editoria italiana segue di pari passo i cambiamenti dell’Italia.
Anche la vita di ciascuno di noi ha un tratto romanzesco che si interseca col romanzo dell’Italia. La mia vita è inquadrata in un modo quasi elementare. Ho una vita familiare tranquilla, sono monogamo non solo per pigrizia ma per convinzione, con una moglie che ha seguito perfettamente la traiettoria descritta da Bacone: quando l’uomo è giovane la donna è il detonatore della fantasia maschile, quando l’uomo è adulto la donna è il punto di sicurezza, quando l’uomo è anziano la donna è infermiera. Perciò l’editoria è la mia amante. Che ho cominciato a frequentare nel 1954 accanto a Elio Vittorini. I suoi carteggi con gli scrittori sono un vero e proprio romanzo del romanzo. Io mi vieto di fare confronti moralistici tra scrittori di un tempo e quelli odierni. Ma da lui ho imparato che la cultura può darsi il coraggio di scelte laceranti, può davvero proporre responsabilmente al mondo una prospettiva di miglioramento. L’aspetto imprenditoriale l’ho imparato invece da Arnoldo Mondadori. Ogni giorno facevamo i conti e valutavamo i nuovi investimenti economici: un aggancio alla concretezza che mi ha insegnato molto. Dopo l’esperienza televisiva, Edilio Rusconi mi ha chiamato come direttore editoriale. Stando accanto a lui mi sono accorto di un terzo essenziale elemento dell’editoria: essa è anche giornalismo, cioè un modo di raccontare il cambiamento in atto.
A un certo punto ho sentito l’esigenza di fondare una mia casa editrice, Camunia, dai tratti molto marcati. L’hanno definita - con mio grande compiacimento - la casa editrice della creatività italiana: pubblicavo solo libri di autori italiani che raccontavano personaggi della storia italiana. E anche dopo che l’ho venduta e sono passato a Giunti, non ho mai smesso di provare quel fervore che già avevo sperimentato nei miei anni einaudiani.
Molti mi chiedono se la mia attività di editore non abbia frustrato quella di autore o viceversa. La mia risposta è: francamente no, anzi dialogare con la creatività altrui mi ha aiutato a mettere a registro la mia. Ancora oggi io mi considero anzitutto un lettore che a un certo punto è passato dall’usare le parole altrui per capire la realtà all’usare le parole captate nella mia esperienza per raccontare una nuova realtà. Da qui il rendermi conto che la letteratura è un processo di rappresentazione del mondo dal carattere personale. \
Voglio poi fare una breve riflessione sul concetto di talento. Anzitutto diciamo che il talento esiste. Però il talento non lievita e non dà profitti di creatività se non è coltivato. Anche nell’area della scrittura non esiste un talento che non abbia bisogno della disciplina; se uno vuole diventare scrittore non può permettersi di non avere memoria della cultura letteraria pregressa. Solo un buon lettore può diventare un buon scrittore (di quanti letterati si è a lungo affermato che erano solipsistici e naïf; poi si è scoperto che avevano i cassetti pieni di appunti, glosse e referti su opere di altri!).
Evidentemente ogni epoca ha i suoi talenti e le sue predilezioni anche linguistiche. L’area dell’espressività muta col contesto sociale. Forse oggi il talento si esprime attraverso un linguaggio cannibale. Forse la letteratura contemporanea sta retrocedendo a un naturalismo nel raccontare la vita, con forte componente sociologica. Non a caso gli scrittori di oggi si chiamano Niccolò Ammaniti e non Ermanno Cavazzoni; Cavazzoni c’è, ma non rappresenta il processo immaginativo che oggi va per la maggiore. Così, c’è stato un periodo in cui lo scrittore innovativo per eccellenza era Gianni Celati, mentre oggi lo scrittore innovativo è Alessandro Baricco, che poi invece è uno che procede con una scrittura e una selezione dei materiali di tipo totalmente visivo, come un tecnico di montaggio. Celati è immaginazione pura, Baricco è multimedialità applicata. Non a caso Cavazzoni e Celati piacevano a Federico Fellini, mentre non gli è piaciuto, agli esordi, Baricco.
Condivido con altri critici che oggi le maggiori dosi di talento in Italia siano nella scrittura in versi. Negli attuali poeti c’è equilibrio tra il loro immaginario e il linguaggio della loro rappresentazione. È un momento in cui vi sono più poeti che mi appassionano e mi convincono, rispetto a narratori che mi appassionano e mi convincono. Di talenti ne ho scoperti, ne ho divulgati e - per dirla con un linguaggio di marketing - ne ho imposti. Da questo punto di vista sono sempre stato spregiudicato, dando immediatamente credito a persone così diverse come Tiziano Sclavi e Andrea Vitali. Ho lanciato Raffaele Nigro, lo scrittore col quale negli anni Ottanta si è verificata quella che a mio parere è stata la vera rinascita della narrativa meridionale, grazie alla forte componente antropologica. Ho avuto il coraggio di puntare su una scrittrice apparentemente anomala come Ludovica Ripa di Meana.
Da ultimo: desidero reagire sinteticamente ma con nettezza a chi contrappone la letteratura alla scienza.

Sono un lettore onnivoro, cui piacciono molto i diversi linguaggi e la compenetrazione tra loro. Considero un narratore straordinario il neurologo Oliver Sacks, così come reputo a modo suo uno scienziato - posso dirlo? - lo scrittore Raffaele Crovi.

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