I numeri dicono molto, ma non tutto. Pino Pavich, vicesegretario nazionale di Magistratura indipendente, la corrente di destra delle toghe italiane, si difende e difende gli ex colleghi dellufficio gip-gup del Tribunale di Catanzaro. I dati, riportati ieri dal Giornale, sono eloquenti: i gip di Catanzaro sono, cifre alla mano, fra i più «lenti» dItalia. Nel 2008 hanno definito 37 procedimenti a testa, contro i 367 di Bari, in cima alla classifica delle città più virtuose.
Che succede a Catanzaro, dottor Pavich?
«Guardi, ho lavorato a Catanzaro otto anni e ho trascorso quasi un anno allufficio gip-gup. Fra il 2005 e il 2006. Posso assicurare che quelle cifre non corrispondono allimpegno di tutti. Fra laltro quando sono arrivato la struttura era quasi al collasso. Su sei posti solo due erano coperti».
Le cifre sono quelle del cruscotto messo a punto dallallora Guardasigilli Roberto Castelli. E riguardano la produttività media di ogni toga.
«Nessuno mette in discussione il cruscotto di Castelli. Il punto è che Catanzaro ha una specificità che non si può sottovalutare».
Quale specificità?
«Ricordo, per la mia esperienza, moltissimi procedimenti di mafia. Procedimenti complessi, con decine di indagati, omicidi, armi, usura, estorsioni, traffico di droga. Uno solo di questi processi porta via più tempo ed energie della somma di tanti processi, diciamo così, ordinari».
Come spiega il contrasto fra Catanzaro e Bari, che pure è una città ad alta densità criminale?
«Non voglio azzardare paragoni azzardati, ma la pervasività di Cosa nostra nel tessuto della società calabrese è impressionante. Bari ha, io credo, una situazione diversa. Per non parlare, poi, della Spezia, dove lavoro oggi come giudice penale: quando sono arrivato sul mio ruolo cerano settecento cause, oggi centoventi. Ma, mi creda, non ho fatto sforzi sovrumani, a Catanzaro la situazione era oggettivamente molto più difficile».
Dunque, nessuna autocritica?
«No, ci mancherebbe. Non voglio essere corporativo. Diciamo pure che in passato, anche in un passato recente, il Csm ha tollerato situazioni di inefficienza o di scarsa produttività».
Il sistema ha chiuso un occhio sui giudici fannulloni?
«Oggi, per fortuna non è più così. Oggi la sensibilità è cambiata o sta cambiando. Prima, invece, si tolleravano situazioni non proprio esaltanti. E questo per due ragioni: il quieto vivere e la logica correntizia».
Chi non apparteneva ad una determinata corrente era più esposto alla severità dei processi disciplinari?
«Sì, e questo era stato ed è motivo di disagio fra i colleghi. Chi è rimasto estraneo alle correnti è stato trattato qualche volta con maggior durezza».
Mettiamola così: lo stesso illecito veniva giudicato in modo più soft se il magistrato sotto processo era di questa o quella corrente?
«Sì. Qualche volta è accaduto proprio questo. Clementina Forleo - anche se il suo formalmente era un procedimento paradisciplinare e il tema non era la scarsa produttività - è stata trattata con una durezza che non ho riscontrato in altri casi».
Il Csm non ha ancora stabilito i parametri della produttività. Come mai? La paura di essere valutati in concreto?
«Certo, ci sono state e ci sono resistenze. Però la IV Commissione sta lavorando, presto arriveranno i risultati. Nel civile siamo avanti, nel penale più indietro, ma il tempo in cui i criteri della produttività erano impalpabili, ultraflessibili, quasi invisibili, deve finire e ormai è finito. Presto verranno fissati dei paletti, paletti minimi».
Chi rimarrà al disotto?
«Spiacente, per questi colleghi, che ragionevolmente non raggiungono quella soglia minima, scatterà lazione disciplinare che finora è stata molto più difficile, proprio perché mancavano riferimenti certi. Però, e non è retorica, voglio anche sottolineare che ci sono magistrati, anche a Catanzaro, che non fanno un giorno di vacanza nellarco di un anno. Il 14 agosto mi ha chiamato dalla Calabria una collega. Erano le otto di sera, era in ufficio e le ho chiesto: Ma riesci a fare qualche giorno di ferie?. Lei mi ha risposto di no.
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