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Csm, solita assoluzione per i pm di Milano

La procura generale della Cassazione aveva chiesto la «censura» Il Guardasigilli: «Sapevo che sarebbe andata a finire così»

Anna Maria Greco

da Roma

Il verdetto del «tribunale dei giudici» su Ilda Boccassini e Gherardo Colombo è di assoluzione: non hanno violato i loro doveri di correttezza e leale collaborazione, opponendo agli ispettori del ministro Roberto Castelli il segreto investigativo sul famoso fascicolo 9520, nella primavera del 2003. Dopo 2 ore di dibattimento e oltre 3 di camera di consiglio la sezione disciplinare del Csm, presieduta dal vicepresidente Virginio Rognoni, dichiara che sono «rimasti esclusi gli addebiti» ai due pm milanesi. Riunione lunga e difficile, anche per questioni procedurali: il Csm, infatti, respinge perché tardivi nuovi documenti della difesa, come spiega in un’ordinanza. Ma alla fine, Boccassini e Colombo vincono la partita.
«Ho testimoni che possono garantire - è il primo commento di Castelli - che avevo già detto che non ci sarebbe stata possibilità di una conclusione diversa da quella dell’assoluzione. Questo, per una serie di motivi che chiarirò successivamente». Il Guardasigilli non sembra arrendersi: nei giorni scorsi ha fatto ripartire l’ispezione sul fascicolo e l’ispettore Otello Lupacchini ha rinnovato la richiesta alla Procura di visionare l’incartamento. Richiesta per ora caduta nel vuoto.
Per Edmondo Bruti Liberati, difensore di Boccassini e Colombo (trasferito a marzo in Cassazione, su sua richiesta), «è stata riconfermata l’assoluta correttezza dell’attività dei pm di Milano». Con «una riaffermazione importante dell’indipendenza dei magistrati». «Erano illazioni infondate», taglia corto il presidente dell’Anm Ciro Riviezzo, per il quale questo è stato «il naturale epilogo di una vicenda che non meritava tanto scalpore».
La pietra dello scandalo che ha fatto finire di fronte al Csm i due pm è appunto il faldone dei documenti da cui hanno avuto origine i processi Sme, Imi-Sir e Lodo Mondadori. Quello che, per Cesare Previti, rimane inaccessibile perché nasconde prove a suo favore.
All’inizio dell’anno i due magistrati, su richiesta del Guardasigilli, vengono accusati di essersi illegittimamente rifiutati di mostrare agli ispettori del ministero della Giustizia il fascicolo 9520. Il «processo» inizia il 15 luglio e per l’accusa il rappresentante della Procura generale della Cassazione, Luigi Ciampoli, chiede di acquisire agli atti proprio i documenti contesi. Solo allora si scopre che il fascicolo è stato archiviato dal gip ad aprile. Ieri il Pg aveva chiesto la sanzione della «censura» per Boccassini e Colombo, ripetendo che era necessario acquisire il 9520 perché era l’unico modo per verificare se sia stato o no corretto il comportamento dei pm milanesi. Per l’accusa, infatti, avrebbero continuato ad indagare nonostante alcuni dei reati fossero prescritti mentre per altri le indagini erano andate avanti senza l’autorizzazione del gip. Ma Ciampoli non ottiene nulla di quanto chiede.
Come difensore dei due magistrati c’è l’ex presidente dell’Anm, Edmondo Bruti Liberati, che chiede l’assoluzione, perché l’unica colpa di Boccassini e Colombo sarebbe quella di avere «adempiuto con eccezionale impegno, dedizione e professionalità al precetto dell’obbligatorio esercizio dell’azione penale, nel rispetto del principio fondamentale dell’ordinamento per il quale la legge è uguale per tutti». Il legale si è per questo opposto «fermamente» alla richiesta di acquisire il 9520. «Questo - aggiunge - non è un processo alla gestione del fascicolo. Se la Procura generale vorrà, potrà avviare un altro procedimento disciplinare». Tanto più, continua Bruti Liberati, che «non si decide in sede disciplinare se un reato è prescritto: valutazione che spetta ai giudici». Per il difensore di Boccassini e Colombo basterebbe leggere le 3 pagine con le quali il gip Rossato concesse nel settembre del ’97 la proroga delle indagini.


Dopo l’assoluzione lo stesso Bruti Liberati, grande antagonista del ministro Castelli nella battaglia sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, commenta: «Il tentativo del ministro di mandare alla sede disciplinare valutazioni che sono di competenza dei giudicanti è stato stroncato dal Csm».

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