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Il cucchiaio dell’Uruguay fa fuori l’ultima africana

Letto Ronaldo, verrebbe voglia di star dalla parte di Felipe Melo, l’uomo in più dell’Olanda e l’uomo in meno del Brasile. Ronaldo è stato il solito delizioso fenomeno, tutto piedi e niente cervello. «Felipe non venga a passare le ferie in Brasile». Poteva almeno aspettare un’ora a dirglielo, glielo ha fatto recapitare dopo cinque minuti dalla fine della partita. Inserendosi con tempismo nel processo di decapitazione del Felipe nazionale, di Julio Cesar e di Dunga. Così perde (in tutto) una squadra senza corona: per la quinta volta fuori ai quarti di finale. La caduta degli dei diventa uno tsunami, Kakà uno qualunque con le lacrime sul viso, la difesa dell’Inter combina il pasticciaccio, Julio Cesar va di nuovo a sbattere: stavolta non in auto, ma contro la carrozzeria pesante di Felipe Melo, il più incessante devastatore di sogni delle squadre sue.
Vince l’Inter e perde l’Inter. Dev’essere proprio il suo anno. Perde la difesa più forte d’Europa, vince il piccoletto rompiscatole, quello che ha guidato al successo l’Internazionale doc e ha votato alla devastazione l’Inter brasiliana: Wesley Sneijder ha lasciato il segno, lui piccoletto ci ha messo la testa (per segnare) e tanto di più per sognare. Visto che andrà a nozze con una figliola da sogni di gloria, potrebbe sposare anche l’idea di un anno perfetto.
I brasiliani si sono persi tutto: anno e mondiale perfetto. E l’Olanda torna Arancia meccanica: gioca in undici, ma sembra in 13. Con Julio Cesar e Felipe il feeling è stato totale. Per Argentina e Uruguay è stata subito festa: i sudamericani non si amano. Julio Cesar si è perso in un disperato pianto finale: una uscita maldestra ha combinato la frittata e fatto cambiar faccia e umore al suo Brasile. L’Olanda ha gli occhi umidi, ma per altre ragioni: questa non è la squadra bella, vanesia e sprecona. Sembra l’Olanda di un altro mondo e forse lo è.
Da Cruyff a Van Basten non c’è nemmeno cuginanza con questi tulipanini di allevamento. Sono dei «Van» e dei «De» che nessuno è andato a impararsi sull’album delle figurine. Poi c’è un pelatone che diresti tuo nonno ed invece rappresenta calcio di seta pura e non passa partita senza far girare la testa a chi gli sta nei dintorni: Felipe M. ha pensato di risolvere il problema mettendogli una scarpa sulla gamba, dopo 27 minuti del secondo tempo, quando la pressione era insopportabile per un tipo come lui e stava diventando angoscia per il resto della Seleçao. Non è servito. Robben ha continuato ad imperversare e l’arbitro, che nel primo tempo era stato lievemente filo brasiliano, poi ha cambiato idea: ha cacciato lui.
E il Brasile ha cominciato a sentirsi azzoppato e senza gambe, senza fiato e senza idee. Ha giocato solo un tempo, sfruttato la falla nella difesa orange per infilarci in mezzo Robinho, come fosse un candidato alla palla e al Pallone d’oro. Tutto strepitoso, compresa l’azione lanciata dall’unico passaggio che Felipone ha imbroccato nella stagione: palla lunga, precisa, filtrante, alla Juve saranno sbiancati. È stata solo la follia di un attimo. Robinho s’è strappato il diminutivo, il Brasile ha cominciato a battersi il petto, giocando e sprecando. Neppur fosse l’Olanda ancien régime. Questa, invece, è una squadra da miniera: soffre e aspetta l’ora di tornare in alto. Ed infatti... Robben ha fatto ammattire sulla destra, Bastos è stato graziato da una doppia ammonizione. De Jong ha fatto intendere perché il Manchester City ha preferito tener lui e lasciar andare Robinho a zonzo per il mondo: l’altra sfida «stracittadina» della partita. Ha vinto il Manchester di Mancini che ha tenuto il centrocampista olandese e mollato il brasiliano (fra l’altro ora al Manchester arriverà Dzeko).
L’Olanda è stata bella, operaia e virtuosa: non può esser un caso se non perde da 23 partite. Sneijder, dopo un tempo da ansimante comparsa, è diventato strabiliante piede d’oro. Dal suo piede è partito il lungo traversone ciccato da Julio Cesar e Melo (non sembrava autogol). C’era lui in mezzo all’area, solitario (quasi fosse d’accordo con Lucio) ad intercettare la spizzata del testolone di Kuyt, che ha fatto sbarellare la difesa e annunciato il ko. Il Brasile è scomparso, Kakà è mestamente tornato quello di Madrid. Luis Fabiano se n’è andato prima. Dunga ha fatto il Lippi: «Siamo tutti umiliati, ma è colpa mia».

Sneijder è stato incoronato re d’Olanda.
E Melo non ha smesso di fare Melo. Sentite un po’: «Non mi frega niente di quel che dice la gente. Chi s’intende di calcio capisce la mia forza». Appunto, ma lui si è mai visto?

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