In cucina trentadue giovani talenti

Parola di Massimo Chiesa. Nell'ambito della presentazione della commedia «The Kitchen», il regista lancia la «The Kitchen Company 2008»: 32 giovani (età media 25 anni) e talentuosi attori, appena diplomatisi all'Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D'Amico, pronti a mettere in scena il celebre testo di Arnold Wesker, da mezzo secolo rappresentato con successo sui palcoscenici di tutto il mondo. Una sfida degna della più alta e nobile scuola teatrale italiana, una sfida pronta a salpare da Genova, con due date inaugurali, venerdì 10 e sabato 11 alle 21, teatro Politeama.
La storia è sempre quella. La cucina di un grande ristorante londinese come metafora del mondo e delle sue contraddizioni, dell'uomo e delle sue miserie. 14 cuochi, 12 cameriere, 1 cameriere, 3 lavapiatti, il ristoratore e un vagabondo alla ricerca di cibo, che dal mattino alla sera si scontrano, tra un piatto e l'altro, fra invidie, gelosie, avances sessuali, litigi, ambizioni, sogni e frustrazioni. Una commedia che strizza l'occhio al dramma, dal sorriso un po' cinico e acre, che riflette echi autobiografici della vita di Wesker, uno che a differenza di Shakespeare identificava il mondo non nel palcoscenico, ma nella cucina. Amicizie, odi e ubriacature, razzismo e disuguaglianze sociali, fatiche e soprusi, precarietà sul lavoro e assenteismo ante-litteram, sullo sfondo della ricostruzione bellica nell’Europa dei primi anni '50.
Chiesa, che quest'anno riprenderà anche «Il dubbio» con Stefano Accorsi, a margine della presentazione, insiste sulla crisi del teatro italiano lanciando un monito e al tempo stesso un auspicio: «La compagnia che oggi presentiamo dovrà avere una propria vita oltre questo spettacolo. Vorrei riuscire a far incontrare questi ragazzi ai grandi registi, anche esteri. Mi piacerebbe vederli diretti, ad esempio, da Sergio Rubini, o in una commedia brillante di Carlo Verdone. Questi giovani sono dei professionisti, non come tanti falsi divi e starlette del piccolo schermo.

Soprattutto bisogna favorire un ricambio generazionale dei protagonisti di un teatro italiano che altrimenti rischia di morire, seppellito da una tv che sa offrire solamente spazzatura al pubblico. Per fortuna, Genova, in questo senso, è una delle ultime isole felici».

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