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Habemus un grande vino

Nell’Alta Tuscia Emanuele Pangrazi produce, nell’azienda biologica San Giovenale, due grandi rossi stilisticamente molto francesi. Quello con l’etichetta bianca è un blend di Grenache, Syrah, Carignan e Tempranillo di grande potenza e longevità, quello con l’etichetta rossa è un elegante Cabernet Franc. Peccato solo che siano 10mila bottiglie in tutto. Ma vale la pena cercarli

Habemus un grande vino
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Mi ha colpito molto nel corso di una mia cena in un bel ristorante di Roma un vino rosso del Lazio di cui avevo sentito molto parlare ma che mai avevo avuto occasione di provare: parlo dell’Habemus etichetta bianca dell’azienda San Giovenale, che da qualche anno sta facendo un grande lavoro nell’Alta Tuscia, in località La Macchia nel territorio del comune di Blera. E mi piace parlarne perché i vini del Lazio vivono perennemente in una zona d’ombra che sembra metterli al riparo da qualsiasi rischio di andare di moda, malgrado in varie aree di una regione varia e complessa ci siano produttori che meriterebbero la ribalta.

L’Habemus etichetta bianca è un vino rosso classificato Igt Lazio da uve Grenache, Syrah, Carignan e Tempranillo (una bella squadra di stranieri non troppo abituati a calcare i nostri campi di gioco) coltivati in vigne relativamente giovani (una dozzina di anni di vita) che giacciono su terreni argillosi e di buono scheletro condotti in regime biologico e collocati ad altezze variabili tra i 350 e i 400 metri sul livello del mare. La vigna è piccola, attorno all’ettaro, le viti ad alberello, la densità di impianto decisamente fitta, e di conseguenza la produzione ridotta, 25 quintali per ettaro (segno di qualità, solitamente, anche se la viticoltura non è aritmetica). La vendemmia è fatta nella seconda metà di settembre manualmente e le vinificazione viene fatta in acciaio, con quindici giorni di contatto con le bucce, e poi l’affinamento avviene in barrique per due anni e quindi in bottiglia per altri sei mesi a cercare il giusto assestamento. Si tratta di un vino sontuoso, che fa 15 gradi e che esibisce note di frutti rossi, di spezie dolci, di erbe aromatiche, di macchia mediterranea che fornisce seducente balsamicità. La bocca ha tannini vellutati, corpo muscolare e una ineffabile freschezza che fa immaginare una bella longevità. Un vino che contraddice l’attuale tendenza di prediligere vini magri e nervosi e mi ha proiettato come a bordo di una macchina del tempo con la manopola sugli anni Novanta dello scorso secolo. Sensazione piacevole. Due i punti deboli di questo vino: il prezzo, poco sotto ai 70 euro in enoteca; e la produzione davvero ridotta, appena 9mila bottiglie e non è certo facile da trovare. Ma vale la pena impegnarsi all’uopo in entrambi i fronti, quello del portafogli e quello dell’investigazione, fidatevi. Ah, io ho degustato l’annata 2021, l’ultima uscita.

L’altro Habemus rosso, quello con l’etichetta rossa, è sempre un Lazio Igt con molti aspetti produttivi simili all’altro, ma è a base Cabernet Franc e riposa più a lungo nelle barrique, circa 30 mesi. Come tutti i Cabernet Franc è elegante e vegetale, con buone note di caffè e un tocco quasi umami.

Habemus è un’azienda piccola ma ambiziosa, che guarda senza esitazione al modello stilistico francese, in particolare alla valle del Rodano ma attinge anche chiaramente all’esuberanza tipicamente mediterranea.

Il suo titolare, Emanuele Pangrazi, imprenditore, da sempre è molto legato al terroir della Tuscia e punta a dar voce a ogni suo aspetto nel segno di una pronunciata espressività grazie anche alla consulenza enologica di Marco Casolanetti dell’azienda marchigiana Oasi dell’Angeli, nella quale produce due vini culto, il Kurni e il Kupra.

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