Miro, un ristorante da film

È l’Osteria del Cinema dell’Anteo di Milano, un locale che non si limita a sfamare frettolosamente gli spettatori prima o dopo la sala ma ha una precisa identità gastronomica grazie all’opera dello chef “romano der Perù” Vincenzo Artadi Carbajal e a un’atmosfera piacevole e rilassata, soprattutto nel bel giardino

Miro, un ristorante da film
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Uno spettacolo di ristorante, un locale in cinemascope. No, non sono iperboli, ma possibili titoli per un articolo su Miro, l’osteria del Palazzo del Cinema Anteo di Milano, la più convincente esperienza gastronomica disponibile in una sala cinematografica italiana, almeno di cui io sia a conoscenza (si accettano smentite).

Miro non si limita a fare da sfornapizzette per chi sta per entrare a vedere un film o per chi lo ha appena visto. E’ un locale con una sua notevole dignità gastronomica, una vera destinazione gourmet, per la quale mi è capitato di andare al cinema senza vedere un film. Un locale piacevole, che nella bella stagione può contare anche su un delizioso giardino interno che si avviluppa attorno a uno storico fico e che conta una buona proposta gastronomica messa a punto da Vincenzo Artadi Carbajal, romano di origini peruviane, al timone da qualche mese, che lavora in modo indefesso sulla ricerca di un gusto pieno, confortevole ma punta anche sulla ricerca di ingredienti di qualità e di un tocco leggero.

Il menu è cinematografico nei titoli dei piatti, i quali però non si affidano solo al calembour da cinefili che in qualche caso ha una vera attinenza con gli ingredienti e qualche volta una fantasiosa evocazione. Io ho provato Chi ha incastrato Roger Rabbit, che gioca su vari tipi di carote arrostite su un letto di tzatziki e grano saraceno; Mr Bean, una notevole Tartare di scamone con cipollotto e senape in grani; Jojo Rabbit è un coniglio in salsa poivrada a base di pepe verde; Brokeback Mountain è una misticanza di montagna con vinaigrette di pomodoro. Si chiama un po’ prevedibilmente Benvenuti al Sud il piatto migliore della serata, dei pennoni conditi abbondantemente con una Genovese di ossobuco realizzata senza sgarrare dal metodo classico, che prevede cento grammi di carne ogni chilo di cipolle, le quali sono lungamente stufate a trarne tutta la dolcezza. Un episodio davvero riuscito. Tra i piatti che invece non ho provato ma che vale la pena citare anche solo per il nome ecco: Le Follie dell’Imperatore, una ceviche di ricciola con banana, cipolla rossa marinata, sesamo nero e leche de tigre; Ink, ruote pazze con piselli, nero di seppia, crema di latte, seppia alla brace e peperoncino; fellinianamente Roma, rigatoni alla carbonara che considerando le origini capitoline dello chef promettono benissimo; Asterix il Gallico è una costata di mora romagnola con il suo fondo. Non male anche i dolci: UP è un tiramisù di buona scuola, La Fabbrica di Cioccolato un flan parisien al 66 per cento con panna montata. Ma per chi vuole ci sono anche alcuni gusti dei gelati di Ciacco, forse la migliore gelateria d’Italia (di Milano di certo).

Clima rilassato da festa paesana, servizio svelto, un décor shabby chic da esterni, con tante porte appoggiate alla parete a dare il senso del destino in agguato (un buon destino, alla fine). Una carta dei vini centrata, conclude l’opera. Miro (nome che evoca il verbo “mirare”, legato alla settima arte, ma che gioca anche con Milano e la Romagna, terra a cui i titolari del locale sono molto legati) è l’ultima rinascita di quella che nel 1997 era nata come Osteria del cinema: una notevole novità per l’epoca.

Poi il format è cambiato numerose volte ma ora appare finalmente davvero maturo. Alla fine è come la pubblicità di quel brandy di qualche decennio fa: se il film vi è piaciuto, festeggiate con i piatti di Miro. Se il film non ci è piaciuto consolatevi con i piatti di Miro. Facile, no?

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