Stüa de Michil, la wunderkammer del sapore

Il ristorante dell’hotel La Perla a Corvara, in Alta Badia, propone una esperienza gastronomica di notevole livello grazie alle scelte di Simone Cantafio, che porta la tradizione locale a contaminarsi con ispirazioni giapponesi e francesi. Grande spazio ai prodotti dell’orto. E poi c’è la magnifica cantina, con un “tempio” dedicato al Sassicaia

Stüa de Michil, la wunderkammer del sapore
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Basterebbe la cantina a rendere la Stüa de Michil un luogo impareggiabile. Un luogo animato, una wunderkammer enologica dove si celebra la grandezza del nettare di Bacco e di alcune grandi espressioni con un percorso visitabile e assai divertente: luci, trovate, un pavimento animato, un tempio dedicato al Sassicaia, vino culto di cui sono presenti tutte le annate in tutti i formati disponibili e nel quale c’è una panca inginocchiandosi sulla quale (gesto un po’ blasfemo ma certamente a suo modo religioso) si spalanca una teca che custodisce la prima bottiglia del vino del marchese Incisa della Rocchetta. Più in là, c’è anche una sbarra da vigili del fuoco dove i sommelier scendono in cantina attraverso un buco circolare in cantina, un po’ per fretta e molto per spettacolo.

Basterebbe la cantina a rendere la Stüa de Michil un luogo impareggiabile. Un luogo animato, una wunderkammer enologica dove si celebra la grandezza del nettare di Bacco e di alcune grandi espressioni con un percorso visitabile e assai divertente: luci, trovate, un pavimento animato, un tempio dedicato al Sassicaia, vino culto di cui sono presenti tutte le annate in tutti i formati disponibili e nel quale c’è una panca inginocchiandosi sulla quale (gesto un po’ blasfemo ma certamente a suo modo religioso) si spalanca una teca che custodisce la prima bottiglia del vino del marchese Incisa della Rocchetta. Più in là, c’è anche una sbarra da vigili del fuoco dove i sommelier scendono in cantina attraverso un buco circolare in cantina, un po’ per fretta e molto per spettacolo.

Il suo menu Trasfurmaziun, che è quello che mi ha deliziato nel corso della mia visita – c’è anche una proposta al tavolo Incö, costruita come un’opera in tre atti e fondata sulla socialità e sull’interazione - propone sei piatti (più qualche “amenity”) a 180 euro. Si parte con un saluto affidato a una serie di snack costruiti come una passeggiata in montagna: legni, rocce e muschi sorreggono alcuni bocconi ispirati a una favola (e il piatto è accompagnato da una spiegazione illustrata da un disegno di Maya, figlia cinquenne dello chef, tocco tenero anche se con un tocco di ruffianeria) che comprendono tra l’altro Finocchi alla crudaiola, Brisquette di manzo sferica, emulsione e funghi delle Dolomiti, brodo di manzo grigliato e yuzu, Cannoncino ripieno alla farcia al parmigiano, nuvola di zucchine, Crespella pasta di semi di lino e ceci carna salada, emulsione al rafano e marmellata di cipolla rossa. Poi, dopo il servizio di un pane di altissimo livello (in particolare quello di farina di segale, grano saracena e farina di mais abbrustolito) ecco la prima vera tappa del percorso, ed è già colpo di fulmine: l’Insalata che arriva dai vari orto sparsi per l’Italia su cui lo chef può contare, con brodo ghiacciato alla giapponese (il Sol Levante, dove Cantafio ha lavorato molti anni nel ristorante dei Bras sull’isola di Hokkaido è tra le principali fonti di ispirazione dello chef milanese) e Crafuns con ricciola del Mediterranea. Grande partenza.

Ancora Giappone nel secondo passaggio, un Raviolo piastrato in stile gyoza riempito di patè di fegatini di pollo e una passatina di funghi che si tuffa in una spuma di scamorza affumicata. Poi un altro piatto grandioso, il Risotto con estratto di salsa di coniglio e rafano, tartufo nero calabrese e bottarga di montagna con uova di galline di Colfosco marinate e poi gratinate. Quindi la Trota fario cotta dolcemente sottovuoto, con una soffiatura a ricordare la pelle, lattughina fresca, Hummus di ceci e sul fondo un peperoncino cornetto che arriva dall’orto calabrese del cugino di Simone, Agostino. La parte salata si chiude con un Maialino che arriva da Vipiteno e che viene cotto dolcemente con bieta rossa, cavolo rapa, fagiolini verdi con una senape delicata emulsionata con il grasso stesso del maiale, pan fritto al pepe sansho, salsa charcutier.

Inizia la parte dolce: un momento di transizione con il Fico caramellato con sfoglia e gelato alle foglie di fico, poi il dolce simbolo di Cantafio, ispirato alla canzone di Edith Piaf La Vie en Rose, a dare un senso di lieto fine. Domina la pesca in varie consistenze accompagnata da yuzu, verbena e mandorla. Poi alcuni messaggi dolci finali, tra i quali un Bon bon al cioccolato bianco, cocco, vermuth analcolico e ribes.

Un percorso di notevole livello, come raramente mi è capitato in Italia

negli ultimi mesi. Che fa rima con una sala di livello altissimo, condotta dal bravissimo Pasquale Di Costanzo, campano, coadiuvato dal conterraneo Aniello, che portano un po’ di calore meridionale in una sala già vibrante.

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