Ennesima follia politically correct: "Il linguaggio dei segni? Non è inclusivo"

Il Washington Post racconta come la lingua dei segni, negli Stati Uniti, sta cambiando per essere più "inclusiva": l'ennesima follia dell'ideologia woke

Ennesima follia politically correct: "Il linguaggio dei segni? Non è inclusivo"
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La lingua dei segni? Per i liberal non è abbastanza "inclusiva". L'ossessione della cultura del piagnisteo per l'imposizione di una neolingua e l'inclusione a tutti i costi - in ossequio all'ideologia woke - travalica i confini della ragionevolezza e del buon senso. Il rispetto per le persone non è in discussione, perché il principio di non offendere è sacrosanto: ciò che appare folle è questa rincorsa compulsiva ad apparire "inclusivi" e vicini alle istanze delle associazioni Lgbtq tanto da impiegare forzatamente un linguaggio imbevuto di ideologia, dove il "genere" è in primo piano rispetto alla realtà biologica. Questo spesso a danno dei diritti delle donne, come sanno benissimo le femministe soprannominate in maniera sprezzante "Terf" come Kathleen Stock e la scrittrice J.K. Rowling, accusate a più riprese di "transfobia" solo per aver ricordato un semplice dato di fatto, ovvero sia che la realtà biologica, alla fine, è sempre predominante rispetto a tutto il resto. Piaccia o meno. Nel mondo anglosassone questa folle rincorsa all'inclusività del mainstream ha raggiunto un nuovo picco grazie a un articolo del Washington Post pubblicato il 29 giugno, citato da Italia Oggi.

Linguaggio dei segni nel mirino degli ultra-progressisti

L'illustre quotidiano di proprietà di Jeff Bezos, Ceo e fondatore di Amazon, afferma infatti che le lingue di tutto il mondo stanno cambiando rapidamente per diventare più inclusive e rispettose delle identità Lgbtq+. Il problema, osservano Amanda Morris, Alexa Juliana Ard e Anna Lefkowitz nella loro "inchiesta", è che per le persone che usano la lingua dei segni in America, trovare un modo per esprimere e rappresentare con esattezza le varie identità di genere non è così chiaro. Come spiegare, ad esempio, attraverso la lingua dei segni che una persona è "queer", "non-binary", o "gender fluid"? Può essere davvero complicato, dato che è complesso già di suo. "Con i segni legati all'identità, è difficile trovare un segno che vada bene per tutti", ammette al Washington Post Julie A. Hochgesang, linguista sorda e professoressa presso la Gallaudet University nel nord-est di Washington. E così il quotidiano ha ben pensato di chiedere a diversi membri della comunità sorda queer di "dimostrare" come il linguaggio dei segni stia evoldendo per essere più linea con il politicamente corretto.

Persino l'arcobaleno non è abbastanza "inclusivo"

A questo punto ci si aspetterebbe che rappresentare le persone "queer" - ossia coloro che non vogliono identificarsi in un'etichetta o un genere preciso - con un arcobaleno potrebbe essere la scelta giusta. Dopotutto, è il simbolo del Pride. Identifica qualcosa di positivo. E invece no, nemmeno l'arcobaleno va bene. Motivo? Non è abbastanza "inclusivo", ovviamente. Il Washington Post nota infatti che alcune persone "ritengono che il segno non sia abbastanza inclusivo, perché l'arcobaleno non include colori come il rosa, l'azzurro o il bianco, che si trovano sulla bandiera del Pride transgender". Altri, forse anche comprensibilmente, si oppongono all'arcobaleno perché dicono che ritrae un'esperienza "idealizzata" dell'essere queer. "Usare l'arcobaleno fa sembrare tutto felice, ma non tutto è perfetto", racconta Oliver Stabbe, 27 anni, trans, ipoudente che vive a Oakland, in California. "Le persone queer sono ancora oppresse". Soluzioni? Difficili da trovare.

Forse perché riuscire ad accontentare ogni minoranza possibile nel nome dell'inclusione attraverso la modifica del linguaggio finisce per trasformarsi in un enorme cortocircuito da cui è impossibile districarsi. Ma le élite del mondo anglo-americano non ci senrono, e proseguono nella loro crociata.

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