«Cultura? La politica ormai si occupa solo di visibilità»

Premio Oscar per la colonna sonora di La vita è bella di Roberto Benigni. Tre David di Donatello, due Nastri d’argento e due Ciak d’oro. Questi ed altri riconoscimenti per dire chi sia oggi Nicola Piovani: pianista, direttore d’orchestra. Ma anzitutto compositore di musiche per film, di canzoni (anche a quattro mani con De André), di sigle televisive (quella di AnnoZero, per esempio) e di pagine a corredo di spettacoli teatrali. Oggi (ore 20.30), domani (20) e domenica (16), Piovani è a Milano, alla testa dell’Orchestra Sinfonica Verdi, nell’Auditorium di largo Mahler. E dirige se stesso. Cioè la propria Suite tratta da Kaos, la Suite Moretti, Pinocchio, La vita è bella. Per planare su Fellini e La voce della luna più Ginger e Fred. Piovani ha lavorato con i registi che hanno fatto la storia del cinema italiano. Una curiosità chi, fra costoro, ha una particolare sensibilità musicale, tale da doverne tenere conto? Giriamo la domanda a Piovani.
«Tengo sempre in grande considerazione gli apporti del regista, che è il vero autore del film. Gli apporti sono di natura diversa: i Taviani hanno una grande cultura di musica classica, Fellini viveva di memorie di bande e orchestrine da circo. Ma le forti personalità trovano mille vie per avviarti nella direzione giusta».
E Benigni?
«Benigni ti guida con le reazioni emotive che esterna quasi fisicamente: il suo entusiasmo davanti al pianoforte o la sua fronte perplessa mi dicono tutto. Una volta, per La vita è bella, avevo un piccolo dubbio su un accordo: fa diesis o do diesis? Gli sottoposi il dilemma e lui rispose senza batter ciglio: do diesis. A ripensarci forse era uno scherzo, ma oggi, quando riascolto quel tema penso realmente come avrebbe suonato male quel fa diesis».
Confrontarsi regolarmente con persone di questo spessore che ripercussioni ha avuto sulla sua vita artistica e umana?
«Le grandi personalità poetiche, come Bellocchio, Monicelli, oltre ai già nominati autori, ti prendono molto, sono capaci di farsi dare il meglio di te. Ma alla fine, mi rendo conto che in queste collaborazioni è stato più quello che ho ricevuto e imparato rispetto a quello che ho dato».
Lunedì, a Roma, anche lei ha festeggiato gli ottant’anni di Morricone. Cosa rappresenta, oggi, Morricone?
«Per me è stato un maestro a tutto tondo. Quando ho iniziato, lui era già uno strepitoso inventore di musiche. E da lui, osservando, imitando, qualche volta magari rubando, ho appreso l’arte dell’artigianato, o se vuole l’artigianato dell’arte. Per l’Italia: è una delle prove nel mondo che il nostro Paese produce non solo fesserie, ma anche genialità».
La più bella musica per film di Morricone e in assoluto?
«Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e Otto e mezzo».
Chi apprezza fra i compositori contemporanei?
«Uri Cane, Sollima, Paolo Conte, Goebbels, lo scomparso Schnittke, ma anche Lloyd Webber e Germano Mazzocchetti».
E il compositore d’oggi? Cosa si fa per lui?
«Mi sembra che la cultura egemone, la politica, la civiltà si occupino e preoccupino di tutt’altro. L’obiettivo dominante ormai è la visibilità: propongo di cambiare il nome agli assessorati alla cultura e chiamarli assessorati alla visibilità».


A cosa sta lavorando ora?
«Un film di Danielle Thompson: Le code a changé, con Danny Boom, Emmanuelle Seigneur, e tanti altri magnifici attori...».
Il più bel film che ha visto quest’anno?
«Probabilmente Gomorra».
Via da Roma, dove andrebbe?
«Costretto, a Parigi mi adatterei meglio che altrove».

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