Cultura e Spettacoli

Il maschio oggi? Non va di moda ma è ancora utile

Pievani e Taddia applicano prospettive evoluzioniste: il sesso forte è femmina e trionferà. Ma c'è un problema culturale che riguarda famiglia e riproduzione

Il maschio oggi? Non va di moda ma è ancora utile

Che il maschio non se la passi bene negli ultimi anni pare una verità indiscutibile. Tirato giù a forza dallo scranno familiare, banalizzato nel mestiere di padre, assediato dalle pari opportunità sul lavoro, mammizzato nelle faccende domestiche, hipsterizzato nei costumi… che altro aggiungere.

Che se la passi talmente male tanto da rischiare l'estinzione per via della sua inutilità, be', è uno scenario da film horror che manderà in visibilio qualche amazzone del femminismo e che però dovrebbe preoccupare il resto del genere umano, donne comprese. Eppure, sottotraccia ma non troppo, è quello che sostengono due maschi, un filosofo evoluzionista (Telmo Pievani) e un bravo autore tv (Federico Taddia), in un libro significativamente, e furbamente, intitolato proprio così: Il maschio è inutile (Rizzoli). Non dicono arretrato o riformabile, no, no, scrivono proprio così: inutile. Un aggettivo che ci piomba in testa come una pesantissima lapide.

La tesi degli autori è molto semplice: se usciamo da quello che loro definiscono «provincialismo antropocentrico», nel resto del mondo naturale, o nella maggior parte di esso, il maschio vive già oggi una condizione di perifericità se non di vera e propria subordinazione alla femmina. Fino all'esempio monstre di un tipo di rana pescatrice tropicale in cui i maschi sono nani e parassiti, delle specie di «scroti ambulanti» appiccicati alla femmina, la cui unica funzione è quella di fornire sperma alla propria «padrona». E via con un catalogo abbastanza lungo di esempi che dimostrano, per esempio, che in natura, l'omosessualità, la bisessualità e l'ermafroditismo (compreso il cosiddetto «ermafroditismo sequenziale») sono diffusi tanto quanto l'accoppiamento maschio-femmina, o postulano l'esistenza di società animali dove sono le femmine, e le scelte che compiono, a regolare i meccanismi della riproduzione della specie. Prima conclusione: «In natura il sesso debole è quello maschile». Seconda conclusione: «Il maschio è un pesante fardello per l'evoluzione e si può farne a meno».

Questa è la natura, e rafforza la convinzione che la natura, presa così com'è, non sia per niente amica dell'uomo. E del maschio, visto come vanno le cose, ancora di meno.

Torniamo invece, da provinciali antropocentrici quali siamo, alla questione del maschio umano. Nel destino a fiato corto che qualcuno predice per noi si incrociano considerazioni scientifiche, evoluzioni tecnologiche e, soprattutto, mutamenti culturali. Nella scienza si dibatte da anni sul futuro del cromosoma Y, cioè l'agglomerato di Dna portatore dei geni sessuali maschili. Uno studio della Pennsylvania State University, anni fa, aveva ipotizzato che questo cromosoma si stesse velocemente (sempre con i tempi lunghissimi dell'evoluzione, sia chiaro) degradando. Invece, un paio di studi pubblicati recentemente su Nature dimostrano che il nostro cromosoma, in fondo, non soffre di tutta questa crisi. Vedremo… Anzi, lo vedranno i nostri nipoti tra qualche milione di anni. Nel campo delle scoperte scientifiche, invece, si continua a sperimentare la produzione di spermatozoi sintetici che, se e quando, speriamo mai, dovessero rivelarsi efficaci, davvero renderebbero il maschio inutile e la donna libera di autofecondarsi e riprodursi per partenogenesi (come già accade in alcuni casi in natura: ah, questa natura!), posto che – questo dice l'evoluzione – lo scambio di DNA attraverso il sesso produce diversità e aiuta a difenderci da un ambiente ostile. E veniamo ora alla questione culturale. Perché, da tempo, senza bisogno di predicarne l'estinzione come avrebbe voluto Valerie Solanas, parlar male del maschio, e ancor peggio del desiderio maschile, va di moda, così come va di moda sponsorizzare l'idea di un maschio evoluto perché femminilizzato. Pievani e Taddia, dal canto loro, scelgono una strada laterale: ammessa l'inutilità del maschio, bisogna saperla reinterpretare creativamente. E vabbé.

Ma basterebbe riflettere sui danni che sta producendo, dentro le famiglie, quella che Luigi Zoja definisce «l'eclissi del paterno», per ribattere che il mondo ha ancora bisogno di maschi.

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