«Voi avete reso i vostri bambini quello che sono. Io sono solo un riflesso di ognuno di voi. Voi riflettete su di me quello che siete all'interno di voi stessi». Una ventina di anni fa, Stampa Alternativa pubblicò la deposizione che Charles Milles Manson utilizzò in propria difesa durante il processo per gli omidici Tate/La Bianca nel 1970. In quelle parole c'è la radice del male da cui è partito anche l'ultimo, imponente saggio dedicato ad uno dei criminali più famosi della storia del secondo Novecento. Uscito qualche giorno fa negli Stati Uniti, Manson: The Life and Times of Charles Manson (Simon&Schuster) è già considerato dai media «il più autorevole resconto mai scritto di come un delinquente giovanile comune sia diventato un assassino la cui orribile storia è capace ancora oggi di scioccarci». Jeffery Deaver - che Manson se lo studiò a fondo ai tempi di La bambola che dorme, il primo romanzo su Kathryn Dance in cui l'eroina affrontava un deuteragonista chiamato Daniel Raymond Pell, «il figlio di Manson» per crudeltà, capacità di plagio e giovani adepti inclusi - lo ha già definito «il miglior libro su Manson che abbia mai letto. E penso di averli letti tutti».
Di fatto, quel che rende questo volume - firmato Jeff Guinn, una garanzia nell'ambito dei bestseller di ricostruzione biografica: si è occupato solo di big, da Babbo Natale a Bonnie&Clyde - «inedito», oltre a molte foto d'archivio della Family mai viste prima, è la contestualizzazione, mai tentata sinora, dei crimini di Manson e della sua setta nell'America degli ultimi anni '60, in cui ogni principio di autorità era messo sotto assedio dalle proteste di piazza. Tempi confusi, in cui era facile prendere comunque un hippie per una brava persona devota ai fiori e contraria ai cannoni, e i venti di Santa Ana per oscura poesia. Che a scriverla fossero i Beach Boys (che al Manson potenziale musicista diedero credito al punto da inserire in 20/20 del 1969 il suo brano Cease to Exist), Raymond Carver o Joan Didion. Tempi confusi, che eressero un affabulatore pappone a reincarnazione di Gesù Cristo, scambiando l'ovvio con il mistero perché di mistero c'era fame e di ovvio abbondanza. «I destabilizzanti anni Sessanta non crearono Charlie, ma resero possibile il suo definitivo sbocciare in un fiore del male. In ogni episodio della sua carriera criminale, Charlie Manson era l'uomo sbagliato al posto e al momento giusti»: questa, secondo le sue stesse parole, la tesi di Guinn.
Guinn non si ferma alle interviste raccolte in prigione con Patricia Krenwinkel e Leslie Van Houten, coinvolte negli omicidi firmati Helter Skelter dell'agosto 1969, che videro tra le vittime più illustri Sharon Tate a Cielo Drive e i coniugi LaBianca. Ma parla in profondità con la cugina di Manson e la sua sorella adottiva, per dimostrare che, con un'infanzia come quella di Charlie, quel che seguì non è né satanico né complesso. Bensì consequenziale. Che fosse il figlio di una prostituta e che prima di essere spedito all'Istituto per l'Infanzia da cui fuggì, fosse stato costretto, ancora bambino, a seguire la madre nei suoi soggiorni a base di notti brave, furti e motel, era cosa quasi nota. Ma che lo zio, quando piangeva, lo punisse facendogli indossare abiti da donna, spiega molto delle sue storie future. Così come il fatto che a scuola fosse un bullo ante litteram, preda di violenti accessi di rabbia. Un sociopatico in piena regola, sebbene Guinn usi questa parola solo alla fine del libro, incapace di provare sentimenti, interessato solo a chi poteva usare o abusare. Charlie scassinò un negozio per la prima volta a 13 anni e passò senza meno alle rapine a mano armata. Non era molto abile, però: si faceva prendere sempre. Ebbe perciò presto bisogno di convincere altri a delinquere al suo posto. E secondo Guinn, due furono le chiavi del «successo» oratorio e manipolatorio di Manson con i suoi seguaci: lo studio matto e disperatissimo , in prigione, prima della tristemente famosa Summer of Love, sia delle «formule d'influenza» di Scientology che di quelle di Dale Carnegie, uno dei più famosi spacciatori di precetti automotivazionali del '900. Innestate nella filosofia flower-power, quelle formule divennero letali, specie per le donne che Charlie convinse a prostituirsi con rockstar come il batterista dei Beach Boys Dennis Wilson in vista di una mai realizzata carriera musicale.
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