Anche in tempo di crisi la scena è sempre delle (solite) archistar

Anche in tempo di crisi la scena è sempre delle (solite) archistar

Sarà davvero un tourbillon di partecipazioni, una serie di matrioske di invitati che a loro volta ne coinvolgono altri per offrire il meglio dell’architettura contemporanea a Venezia, dal 29 agosto al 25 novembre, per la 13ma edizione della Biennale firmata dall’inglese David Chipperfield.
Nel titolo Common Ground il curatore ha sottolineato una visione dell’architettura come territorio condiviso, dove l’edificio non può sorgere se estrapolato dal contesto e dalla socialità che si sviluppa intorno. Perciò l’architettura «richiede collaborazione» e «ruolo critico» che non deve essere necessariamente antagonista ma armonico al paesaggio e ai bisogni umani. Detto così sembrerebbe il proclama di una definitiva rinuncia al ruolo centrale dell’archistar, eppure a scorrere la lista, ancora una volta in cima alla play list figurano nomi ormai di dominio pubblico: Zaha Hadid e Norman Foster, Peter Eisenman e Rem Koohlas, Kazuyo Sejima e Alvaro Siza Vieira, Renzo Piano, Cino Zucchi e Peter Zumthor... Ricorrenti anche le «contaminazioni» con il mondo delle arti visive, condizione ormai indispensabile per rendere una mostra di sola architettura appetibile e coinvolgente. La declinazione concerne soprattutto la fotografia e il concettuale. In tutto sono previsti 58 tra progetti e installazioni, con la partecipazione di 103 tra architetti, artisti e fotografi. Per quanto riguarda i costi, invece, stesso budget degli anni passati: 6,8 milioni di euro, per il 60% assicurati dalle entrate della Biennale (quest’anno si punta ai 200mila visitatori).
Alla nuova Biennale dell’architettura globale alcuni Paesi saranno alla prima partecipazione con un padiglione nazionale: dall’Angola al Kosowo, dal Kuwait al Perù e alla Turchia, che hanno tutti comunicato le loro scelte. Manca clamorosamente all’appello il Padiglione Italia perché il ministero non ha ancora sciolto la riserva sui dieci progetti che giacciono sulla scrivania del ministro tecnico Lorenzo Ornaghi e che, pare, sarà sciolta venerdì. Sui nomi nessuna indiscrezione, ma ciò che colpisce è il metodo irrituale di far lavorare dieci studi (gratis) per poi escluderne nove, quando le altre nazioni da tempo hanno formalizzato la loro decisione. È bene ricordare che nei «governi politici» l’incertezza non regnava sovrana e che il penultimo inquilino del Mibac (Sandro Bondi) aveva definito con prassi corretta i curatori. Chi sarà l’erede di Luca Molinari a meno di quattro mesi dall’inaugurazione ancora non si sa, poi verrà applicata la solita arte dell’arrangiarsi ma certo il Paese ospitante non ci fa bella figura.

Un metodo che non piace neppure al presidente della Biennale Paolo Baratta, cui non è mancato in conferenza stampa, ieri a Roma, un accenno polemico alla situazione dell’architettura in Italia: «Viviamo una grave discrasia, con la Biennale di Venezia vantiamo la più importante mostra internazionale, ma non sappiamo esprimere in questo settore una domanda di qualità, così come avviene con il buon mangiare, il vestire, l’arredamento, il design». In Italia, ha spiegato Baratta, la gente «ha una gran domanda di qualità per tante cose, ma sembra non avere domanda per l’architettura».

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