Cultura e Spettacoli

Anni '70 e '80: formidabili quei miti fra tv, fumetti e cinema

C'erano una volta i miti, quelli dei culti pagani, delle iniziazioni che sancivano la fasi della crescita dell'uomo e il suo rapporto con la società. Nei secoli la civiltà occidentale si è desacralizzata, secolarizzata. E i miti sembrano essere diventati altre cose: ormai, nel linguaggio comune un mito è una rockstar, un divo hollywoodiano, un campione sportivo. In effetti, anche questi nuovi miti hanno qualcosa da insegnare e hanno costellato riti di passaggio generazionali o svolte epocali. Lo sa bene Marco Iacona, studioso del pensiero politico e appassionato di cultura popolare, e ce lo suggerisce in C'era una volta una generazione. Eroi e idoli popolari nei fumetti, al cinema, alla radio e in TV (Tabula Fati, pagg. 156, euro 12).
La generazione del titolo è la sua, «nata nel cuore degli anni Sessanta ed entrata nella maggiore età negli Ottanta», appena in tempo per mandare in soffitta le ossessioni ideologiche dei fratelli maggiori e per dedicarsi ai miti pop. A partire dai fumetti come Tintin, inventato da Hergé negli anni '30 sulle pagine di un settimanale per ragazzi legato alla destra cattolica francese, ma pronto a esplorare i misteri del Tibet e della luna ben prima della Nasa. Poi c'era Diabolik, accompagnato da quell'Eva Kant molto più femminista di tante militanti. Zagor, della scuderia Bonelli, era un ottimo «esempio di rigetto delle ideologie», pronto a schierarsi con gli indiani ma anche contro, nel caso avessero torto. Mentre il mondo dei Peanuts di Schulz, senza adulti tra i piedi, era «utopia realizzata senza traccia di sovversione».
Ma ancor più del fumetto fu la tv a imporre i nuovi miti. Lo sceneggiato Il segno del comando, storia «di probabili reincarnazioni, di fantasmi, di predestinazioni», portava sul piccolo schermo l'esoterismo. La «forzuta, anarchica e magica» Pippi Calzelunghe faceva sognare i più piccini. Goldrake lanciava la moda dei robot giapponesi in lotta contro il male e le civiltà nemiche dei terrestri. Heidi fuggiva dalla civiltà urbana come un'eroina di Jack London o un anarca jüngeriano.

Al cinema c'era John Travolta alias Tony Manero: era il '78, in Italia le Br assassinavano Moro mentre nelle discoteche di New York i giovani in preda alla febbre del sabato sera preferivano imporsi con il ballo, quasi devoti al «Dio che danza» invocato da Nietzsche.

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