Un uomo provò a "sfidare" Dio: ecco cosa sappiamo su Babele

Quello della torre di Babele e del sovrano della città punita da Dio, Nimrod, è un mito senza tempo. Che grazie alla casa editrice "L'Ippocampo" rivive in forma di graphic novel

Un uomo provò a "sfidare" Dio: ecco cosa sappiamo su Babele

Un sovrano, la sua città, un monumento all’ambizione umana, una punizione divina. Il topos che unisce questi elementi è comune a molti miti e leggende dell’antichità, che hanno nella storia biblica della Torre di Babele il loro esempio classico.

Babele, che nella Bibbia non è altro che la mitica Babilonia, è al centro di un racconto narrato nell’undicesimo libro della Genesi: “Tutta la terra”, narrano le Scritture, aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Contravvenendo così all’imperativo ordine di Dio, che cacciando Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre aveva imposto a loro e ai successori di disperdersi per il mondo.

Nella città, Babele, gli uomini tentarono di ergersi al livello di Dio, con un vero e proprio “assalto al Cielo” la cui materializzazione fu l’edificazione della mitica Torre di Babele, che provocò la risposta diretta del creatore: “Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città”. Dio divise i popoli, le lingue, le culture per punire la hybris, la tracotanza di una stirpe che aveva osato sfidare i suoi imperativi. La Genesi non fa riferimenti diretti al nome dell’uomo che guidò l’impresa, ma nel Talmud babilonese, il nome di uno dei figli di Cam, e dunque membro della stirpe di Noè, chiamato Nimrod è così commentato: "Perché, allora, fu chiamato Nimrod? Perché istigò il mondo intero a ribellarsi (himrid) alla Sua sovranità [di Dio]".

La Genesi, nel capitolo 10, cita Babele tra le città interne al regno di Nimrod. E per questo la tradizione ha associato la sua figura a quella della mitica città che osò sfidare Dio. Un racconto vivo nella memoria collettiva della civiltà plasmata dalla cultura ebraica e cristiana che, recentemente, è stato riproposto anche in forma grafica: Re e Regine di Babele è il titolo di un recente album illustrato realizzato da François Place per la casa editrice “L’Ippocampo” che si apre proprio col riferimento alla figura di Nimrod.

Nimrod, scrive Place, nella storia a tavole guida i suoi seguaci in un bosco all’inseguimento di un cervo bianco e, giunto su una scogliera a picco sul mare, la usa come bastione attorno a cui edificare una torre e, incardinata sulle sue rocce, una città. Quella torre e quella città altro non sono che la mitica Babele, e il racconto prosegue con le nozze di Nimrod con una principessa, Zelia, e la nascita di una dinastia di sovrani che avrebbero governato a lungo la città. Immersi in un’atmosfera fuori dal tempo, con guerrieri, stendardi e cinte murarie che richiamano la foggia medievale sulla scia del racconto di stampo biblico. Profonda fascinazione del mitico “C’era una volta” che proietta fuori dal tempo e dallo spazio le storie, creando il mito. Un mito che, quando si parla di Babele, inevitabilmente attrae. Forse perché nato alle sorgenti della civiltà, da cui sono iniziati a scorrere fiumi giunti, carsicamente, fino ai giorni nostri, attraverso la creazione di una comune costellazione di riferimenti culturali, valoriali, religiosi, un’accumulazione di archetipi e punti di riferimento. Forse perché prova a dare una risposta al mistero profondo della diversità tra popoli e stirpi.

Re e Regine di Babele di François Place

Forse perché la civiltà a cui fa riferimento non è solo quella degli antichi israeliti in seno alla quale videro la luce le scritture ma anche la lunga progenie della stirpe mesopotamica. E non è un caso che i riferimenti archeologici identifichino la Torre di Babele con Etemenanki, la grande ziggurat di Babilonia dedicata al Dio Marduk che la tradizione ritiene edificata dal sovrano Hammurabi nel II millennio a.C, rasa al suolo dal feroce conquistatore assiro Sennacherib nel 689 a.C., ricostruita dal figlio Esarhaddon e portata alla sua forma definitiva da Nabucodonosor II, il biblico Nabucco che a Babilonia deportò gli israeliti dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme. La grande ziggurat, di cui anche Erodoto parlò nelle Store, era dedicata a Marduk, re degli Dei nella cosmologia babilonese. Una figura a sua volta carica di mito e mistero, inserita in una mitologia complessa che si evolse sulla scia degli sconvolgimenti militari e politici della Mesopotamia: Marduk, figlio di Ea (Enki in sumero) e Damkina, raccolse non solo metaforicamente il “testimone” dall’antico dio primordiale, Anu, sulla scia dello slittamento del centro politico della regione da Uruk a Babilonia. A lui è associato il ruolo di ordinatore dell’universo contro la forza del caos, la dea Tiamat, da lui combattuta in un duello cosmico in cui gli studiosi della storia e della religione mesopotamica (notevoli gli studi del nostro connazionale Luigi Cagni) hanno letto una dialettica destinata a diventare comune alle grandi religioni del mondo antico.

La stirpe di Nimrod, dunque, persa al confine tra storia e mitologia, è punto d’incontro tra civiltà, lingue, tradizioni religiose. Place nella sua opera ne immagina le traiettorie, le discendenze, la continuità, ridando vita a una terra che per la sua natura di crocevia di popoli e lingue ben si predisponeva a essere carica di riferimenti culturali e mitologici. Babele in fin dei conti rappresenta la volontà umana di ricondurre a unità il complesso, un tentativo spesso frustrato da stimoli e interventi esterni, di cui l’azione di Dio nella Genesi è il più classico degli esempi. Rappresenta anche la tracotanza uniformatrice di chi, nelle sue intenzioni, mira a sostituirsi a Dio (o agli dei) nell’ordinare e indirizzare le attività umane.

Entrambe queste pulsioni sono state più volte fatte proprie dalla reale “stirpe di Nimrod”, la lunga serie di sovrani alternatisi tra Babilonia e le altre città della Mesopotamia perennemente attratti dall’ambizione di dominare la culla della civiltà umana. Ordine contro caos, Dio contro gli uomini, Marduk contro Tiamat: la filigrana comune è il vero trait d’union tra la realtà e il mito.

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