Secondo il vocabolario, gli «odori metafisici» sono quelli che si sviluppano intorno al water, magari al modello giapponese - con alzatavoletta automatico - che compare nel nuovo romanzo di Roberto Barbolini. A dire il vero ne L'uovo di Colombo (Mondadori, pagg. 268, euro 19) gli odori metafisici si spargono su tutta Modena: non c'è personaggio che, percorrendo i vicoli della città ducale, non storca il naso passando accanto a un tombino. L'unico indifferente a ogni pestilenziale effluvio è Efraim, che da un'altana cosparsa di «colombina» (cioè, ancora una volta, dallo sterco dei piccioni) contempla le evoluzioni dei suoi messaggeri alati. Perché Efraim è un vero colombofilo. Colombi di razza triganina, rigorosamente modenesi.
Dall'altana si vede anche dell'altro: per esempio «il mostro», cioè la torre Ghirlandina che un assessore stolto ha vandalizzato ricoprendola con i poster giganteschi di Luciano Pavarotti ed Enzo Ferrari, glorie locali. Si scorge lo studio dove Ivan Prampolini, disegnatore di vampiri, sta impazzendo perché il suo capo pretende «un vampiro non convenzionale» (diverso, cioè, dai «sentimentali vampiretti rosé della serie di Twilight»). Ma soprattutto si seguono con lo sguardo gli imprevedibili spostamenti dello scrittore Eugenio Blafardi, che in un universo editoriale dove il libro dell'esordiente è ormai un genere letterario ha deciso di scomparire, di darsi alla macchia, allo scopo di ricomparire poi con un nome nuovo, e dunque felicemente ri-esordire, come un perfetto sconosciuto. Il giorno stabilito per rivelare al mondo il suo inganno è prossimo, anzi è oggi: peccato che Blafardi (che assomiglia a David Niven senza baffi) si sia reso di nuovo irreperibile, fuggendo dall'albergo in cui l'amministrazione comunale, che conta sul suo outing per ottenere consensi, lo ha alloggiato.
Fra circoli di improbabili poeti erotici, piccioni di razze antichissime, assessori con l'acqua alla gola e professoresse di liceo perseguitate da colleghi con la bava alla bocca, Barbolini trionfa ancora una volta grazie a un'ironia che copre tutti i campi del derisorio: dalla battutaccia goliardica destinata al grande pubblico all'allusione coltissima, magari in tedesco, che capiranno in quattro.
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