Ci sono dei libri di storia (pochissimi) a cui capita di diventare essi stessi un fatto storico. È il caso di Intervista sul fascismo di Renzo De Felice, pubblicato da Laterza nel 1975.
Il grande merito di De Felice - con la biografia di Mussolini, in realtà una storia del regime fascista - fu basare i suoi studi sui documenti e non su pregiudiziali ideologico/politiche, pro o contro. Se i primi tre tomi avevano soltanto disturbato la storiografia di sinistra, allora dominante, il quarto ebbe un effetto dinamitardo: le quasi mille pagine di Mussolini il duce. Gli anni del consenso, 1929-1936 uscirono nel dicembre del 1974 e la loro tesi di fondo provocò polemiche a non finire. Vi si sosteneva, e vi si dimostrava, che il regime godette per un lungo periodo di una straordinaria partecipazione popolare. Oggi è un dato acquisito (malvolentieri) anche dalla storiografia di puro stampo antifascista, però allora De Felice venne addirittura accusato di filofascismo. Anche per questo volle pubblicare, in unagile intervista accessibile a tutti, la sintesi del suo pensiero.
Lidea era stata di Vito Laterza, e ottenne un enorme successo di vendite, inusitato per un volume del genere. Lintervistatore fu lamericano Michael Arthur Ledeen, allievo di George Mosse, in quel tempo giovane visiting professor alla «Sapienza» di Roma e poi diventato un leader dei neoconservatori statunitensi. De Felice, nella prima parte del libro, spiega la distinzione tra fascismo regime e fascismo movimento; il primo ebbe sostanzialmente funzioni conservatrici, il secondo aveva forti aspirazioni di modernizzazione: «Il movimento è lidea della realtà; il partito, il regime, è la realizzazione di questa realtà, con tutte le difficoltà obbiettive che ciò comporta». E continua: «Con tutti i suoi innumerevoli aspetti negativi, il fascismo ebbe però un aspetto che in qualche modo può essere considerato positivo: il fascismo movimento aveva sviluppato un primo gradino di una nuova classe dirigente». È fondamentale anche lindividuazione dellelemento che distingue il fascismo dai regimi reazionari e conservatori, ovvero la mobilitazione e la partecipazione delle classi: «Il principio è quello della partecipazione attiva, non dellesclusione. Questo è uno dei punti cosiddetti rivoluzionari; un altro tentativo rivoluzionario è il tentativo del fascismo di trasformare la società e lindividuo in una direzione che non era mai stata sperimentata né realizzata».
Di più: De Felice sostenne, per la prima volta, che fascismo e comunismo erano entrambi figli della rivoluzione francese, e avevano quindi un codice genetico simile. Per la sinistra era (non lo è più così tanto) unaffermazione inaccettabile, e forse aveva ragione Ledeen quando, ventanni dopo, spiegò lorigine politica di quella reazione furibonda: il predominio culturale del Pci stava cominciando a indebolirsi, e il partito si sentiva minacciato nella sua egemonia da un libro che appena dieci anni prima avrebbe semplicemente ignorato. Lunico comunista che difese, in parte, le posizioni di De Felice fu un uomo coraggioso e onesto come Giorgio Amendola.
Riguardo agli effetti che ebbe il lavoro di De Felice, posso ricordare un episodio personale. Studiavo a Milano, quindi non ero un suo allievo quando nel 74 mi laureai con una tesi su Giuseppe Bottai, un fascista critico: dove dimostravo appunto che Bottai era stato un modernizzatore e che erano esistiti una cultura fascista e intellettuali fascisti di valore. La tesi venne pubblicata nel 76 da Feltrinelli, grazie a un direttore editoriale illuminato come Gian Piero Brega: non credo sarebbe stato possibile senza il varco aperto dal docente romano. Nonostante questa e altre aperture, per contrastare le tesi di De Felice si arrivò addirittura a sostenere che avrebbero finito per rafforzare il neofascismo italiano, il Movimento Sociale.
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