Quando finì la Seconda guerra mondiale in Europa, con la caduta di Berlino, non tutti, nemmeno tra gli alleati, tirarono un sospiro di sollievo. Certo, il nazismo era stato debellato come entità politica. Ma questo non significava che fossero stati debellati i nazisti. Anzi, nel grande sfascio della Germania, erano moltissimi i potenti del Reich che erano riusciti a prendere la via della fuga.
E non una fuga da miserabili, anzi. Molti avevano preparato accuratamente le proprie mosse, e i propri conti in banca, sin dai tempi della sconfitta di El Alamein o dal rovescio di Stalingrado. Perché se il Führer era pronto a combattere sino alla morte e all'apocalisse finale molti notabili del partito e i grandi industriali che il regime aveva favorito molto meno.
Proprio di questi rocamboleschi, ma spesso riusciti, piani di fuga si occupa Arrigo Petacco nel suo nuovo volume edito da Mondadori: Nazisti in fuga. Intrighi spionistici, tesori nascosti, vendette e tradimenti all'ombra dell'Olocausto (pagg. 240, euro 19, in libreria da questa settimana). Il primo progetto per «salvare la pelle» prese corpo in una riunione che si svolse a Strasburgo, nella Francia ancora occupata, e a cui parteciparono i più importanti esponenti della Germania nazista. Tra di essi, «banchieri, finanzieri e industriali, come il re del carbone Emil Kirdorf, il magnate dell'acciaio Fritz von Thyssen, il potente Gustav Krupp von Bohlen, il banchiere Kurt von Schröder e altri personaggi rimasti sconosciuti». Tutti si erano arricchiti contribuendo a costruire la macchina bellica tedesca; ora, prevedendo la sconfitta, progettavano di separarsi da Hitler e di prendere le misure necessarie per creare un nuovo Reich postbellico, ovviamente con un altro Führer. Il summit si svolse nell'Hotel Maison Rouge e, secondo quello che è stato possibile ricostruire, sarebbe stato promosso o «protetto» dal «numero due» della gerarchia nazista, il viceführer Martin Bormann (che sicuramente cercò di fuggire dalla Berlino assediata e sulla cui morte sotto i colpi di cannone russi vi furono a lungo dubbi). Non si hanno minute precise dell'incontro ma quello che emerge con chiarezza è che, con precisione teutonica, si stavano già preparando i piani della grande fuga. Questo spiega perché subito dopo la guerra prese corpo e iniziò a funzionare la così detta ratline (detta anche via dei monasteri), ovvero quel percorso che conduceva gli alti ufficiali tedeschi in Italia con l'appoggio di alcuni esponenti della Chiesa cattolica. Le basi erano state poste molto prima.
Certo, poi resta difficile capire in che maniera si incrociassero le iniziative dei singoli per salvarsi, i piani preordinati per una grande fuga e la successiva riorganizzazione del Reich. Petacco, nel suo libro come al solito di buon livello divulgativo, fornisce molte informazioni senza però avventurarsi (per fortuna) nelle follie del complottismo. Di sicuro ci fu una rete organizzata che consentì a molti personaggi di medio livello di raggiungere l'Argentina e di formare una vera e propria comunità nazista «in villeggiatura sulle Ande» a San Carlos Bariloche. La favola racconta che lì si fosse rifugiato anche Hitler, niente affatto suicida nel Bunker. Di sicuro vi si rifugiarono Erich Priebke e Adolf Eichmann. Per assurdo fu proprio il fatto che i servizi segreti indagassero su immaginarie fughe in Uboot del Führer o dello stesso Bormann che consentì ai gerarchi di medio livello di farla franca a lungo o a semplici aguzzini da lager come il dottor Mengele di non essere mai catturati.
E nel grande incrocio di piani e di strategie personali un ruolo fondamentale, soprattutto nell'immaginario collettivo, l'hanno svolto i molti tesori nascosti dai nazisti in fuga. Il così detto «Nazi gold» a cui Petacco dedica molto spazio. Molti capitali infatti si mossero via banca e per tempo. Ma certamente durante il crollo finale del regime, e anche prima durante la convulsa situazione italiana dell'otto settembre '43, ci furono beni razziati e saccheggiati che finirono persi o nascosti. Come ad esempio il tesoro di Rommel che sparì da La Spezia e finì con tutta probabilità sommerso vicino alle coste di Bastia (per cercarlo c'è scappato il morto) o l'oro di Kesselring che forse è ancora sepolto nel ridotto del monte Soratte. E non mancherebbe nemmeno una serie di «tesoretti» sepolti di qua e di là del confine del Brennero. Leggende? In parte, ma visto quello che è accaduto con le collezioni d'arte ritrovate in un appartamento di Monaco di Baviera... Alla fine la riflessione che conta di più nel libro di Petacco, che di storie vere ma incredibili ne racconta tante, è un'altra.
La fuga dei nazisti fu possibile grazie a connivenze, a un «clima» in cui l'antisemitismo aveva un grosso peso. Un «virus che, come una brace che cova sotto la cenere, potrebbe sviluppare un nuovo incendio nei momenti di crisi. È appunto sulla soluzione di questo problema che tutti dovremmo riflettere: ebrei e non ebrei».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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