Le buone ragioni per dirsi conservatori anche nel XXI secolo

Rispetto per i beni e le idee del passato, gusto per ciò che è durevole, critica (costruttiva) della modernità. Altro che oscurantismo...

Le buone ragioni per dirsi conservatori anche nel XXI secolo

A usare il vecchio gergo automobilistico, i conservatori sono il freno, i progressisti l'acceleratore e i centristi la frizione. Moderata è solo l'andatura. Poi l'automatismo ha reso superflui i pedali. Ma la parabola ancora regge per far comprendere che in politica come nella vita sono necessari i conservatori quanto gl'innovatori. Però il nostro è un Paese fermo o che gira a vuoto, con l'acceleratore a tavoletta e il freno a mano. Dinamico a parole, quietista di fatto; ossia ideologicamente progressista, praticamente stazionario. L'epiteto di «conservatore» resta tra gli insulti peggiori che si possa rivolgere a chiunque. Si sentono offesi anche gli stessi conservatori. Questo rende doppiamente meritoria l'opera di Gennaro Malgieri, Conservatori europei del Novecento, un'antologia uscita per I libri del Borghese (pagg. 265, euro 18) che raccoglie ventuno grandi conservatori di cui uno solo vivente (Roger Scruton). Nel suo bel saggio introduttivo, Malgieri offre al lettore un quadro d'insieme, ne fa la storia e la fenomenologia e giustamente definisce quella conservatrice non una ideologia ma una visione del mondo. Difficile e controversa la data di nascita. In senso lato conservatori furono anche grandi autori dell'antichità. Limitandoci alla modernità, il pensiero conservatore sorge nel day after della rivoluzione francese, con il saggio di Edmund Burke e gli aforismi di Rivarol. Sul piano storico, ha ragione Malgieri, la sua genesi ufficiale si può forse datare al 1818 con la nascita del giornale Le Conservateur di Chateaubriand. L'antefatto storico è il Congresso di Vienna, di cui quest'anno è il bicentenario, anche se per quell'evento è più giusto parlare di Restaurazione e non di Conservazione, cioè di un ritorno allo status quo ante, un ripristino e non una continuità, che è invece il perno del conservatorismo.

Grandi nomi allinea Malgieri nella sua antologia, e altri grandi se ne potrebbero aggiungere, a dimostrazione di quanto grande sia il pensiero conservatore. In Italia, si sa, non c'è mai stato un vero ed esplicito Partito Conservatore; ci andò molto vicino la Destra storica, ma il conservatore italiano ha sempre esibito l'altra carta d'identità: cattolica o nazionalista, ma a volte anche liberale o addirittura socialista. Da noi il conservatorismo è stato più una malattia degenerativa che una visione del mondo, un'indole viziosa di cui vergognarsi piuttosto che un'identità da mostrare senza complessi. Oggi il tema sembra superfluo perché l'automatismo vanifica le opzioni conservatrici e progressiste e neutralizza la politica. E poi domina lo stupido luogo comune apocalittico che non c'è niente da conservare: e allora buttatevi giù dal ponte, suggerisco. Non ha senso conservarvi in vita...Vi sono invece a mio parere quattro buone ragioni per dirsi conservatori nel corrente anno 2014, con il corrente, molto corrente premier Renzi, nel corrente degrado. Provo a dirle nel modo più semplice, come si addice ai conservatori. Per cominciare non riusciremo mai a salvaguardare l'Italia, la sua ricchezza, i suoi beni artistici e culturali se non acquisiremo la mentalità che c'è qualcosa di prezioso da conservare e proviene dal nostro passato. Si potrà mai fare vera conservazione dei beni culturali se si demonizza l'espressione conservare o la si riduce a quella chimicamente sospetta dei conservanti per gli alimenti? Se non coltivi la memoria, se non ami la tua storia, la tua tradizione, il tuo passato e le sue glorie, e le cose che esistono, non potrai mai tutelarle e valorizzarle.

Secondo tema su cui insisto è la connessione verticale. È necessario vivere connessi, ma non solo al proprio presente e non solo in latitudine, ma anche al passato e in profondità. Alla connessione orizzontale, garantita soprattutto da internet, è bene affiancare la connessione verticale, con la storia da cui proveniamo. Il conservatore fonda la sua proposta e la sua visione su un patto di sangue e di anima tra le generazioni. Non è un singolo ma un erede gravido.Terza ragione: nell'epoca del consumo rapido di vite, legami, affetti e merci, è bello scoprire la gioia delle cose durevoli, la continuità di una vita e scorgere in pieno movimento e mutamento punti fermi e riferimenti saldi, e distinguere nella provvisorietà di tutto alcuni orientamenti permanenti. Benché nemico dell'ottimismo, il conservatore non cede al catastrofismo, perché il suo sguardo lungo gli consente di dire che non andiamo né verso il migliore dei mondi possibili né verso l'ecatombe, i disagi cambiano aspetto ma ci sono sempre stati; questa non è la fine del mondo, semmai è una fine, si chiude un ciclo, un'epoca, non è l'apocalisse. Nihil sub sole novi, o meglio, in ogni mutamento ci sono analogie, ripetizioni e costanti; in ogni guadagno c'è una perdita, e viceversa.

Infine, la quarta ragione che le raccoglie tutte: il conservatore non è antagonista dei cambiamenti, dello sviluppo e della tecnica, ma vuole compensarli. Oggi più di ieri la conservazione è un principio di compensazione, non di reazione o d'opposizione alla realtà. Il conservatore bilancia la fretta con la lentezza, il globale con il locale, la tecnica con la cultura, l'artificiale con il naturale, la novità con la memoria, la mobilità con le radici. E ciò corrisponde a un'esigenza biologica perché abbiamo bisogno sia di novità e fratture che di sicurezze e persistenze. Il conservatore è realista, ha senso della misura, dei limiti e dei confini, sa che la vita inspira ed espira, ha sistole e diastole, è andata e ritorno.
Malgieri, come me, ama in particolare la rivoluzione conservatrice, non solo nel senso del movimento culturale e letterario emerso tra le due guerre, ma nel significato di coniugare la saldezza dei principi al dinamismo degli assetti, in quel punto in cui il radicato volge in radicale. Constantin Noica, nel Saggio sulla filosofia tradizionale (ETS, 2007), sostiene che il puro divenire è dissiparsi, perdersi e negare, «solo il divenire entro l'essere istituisce, edifica, afferma». Il divenire dentro il cerchio dell'essere è il senso proprio della rivoluzione conservatrice, fondata sul ritorno. Horror vacui contro cupio dissolvi. Nell'arcipelago conservatore c'è chi ha una preferenza di tipo liberale o di tipo religioso, chi è più pragmatico e chi è più orientato verso i principi metafisici.

Per il conservatore la Tradizione è principio di fondazione, le tradizioni sono beni da salvaguardare, ma il tradizionalismo è sclerosi, la sua rigidità coincide col rigor mortis. La Tradizione sta al tradizionalismo come la fiamma sta alle ceneri. Il conservatore non è un imbalsamatore. Semmai un tedoforo.

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