Carmelo Bene, il genio di nessuno

Un genio non e' di nessuno. E' dell'arte che l'ha creato, neppure della vita che si e' divertita ad essere diversamente abile nel ricrearlo

Carmelo Bene, il genio di nessuno

Un genio non e' di nessuno. E' dell'arte che l'ha creato, neppure della vita che si e' divertita ad essere diversamente abile nel ricrearlo. Carmelo Bene si sentiva in troppi anche, terribilmente solo, in se stesso. Si annoiava dell'eccesso di defecazione sul cesso dell'unità. Solo il pensare di essere e' essere trini: l'io, l'altro e il niente di entrambi. Stai a vedere, Carmelo, che ora tutti ti rivendicheranno! Sentimentalmente, politicamente, culturalmente. E vai con le mostre, i documentari, i documenti di carte che non sanno neppure sfidarsi in un solitario. E come a te piaceva non rideranno nel sentirsi un monstrum, ovvero la mostruosità di mostrare l'impossibile presenza, tu che fosti alfin mancante a qualsiasi appello. Carmelo Bene? Assente, avresti recitato, almeno per una volta. E poi musei, filmati, ricordi di amici e di donne: tutti e nessuno sono Carmelo.

Il genio, come un profumo perfetto per-feto, non aspira che all'eva-ne-scenza, alla splendida, manchevole nascenza da un'Eva che nell'infante ricreazione nella merenda dell'amore non penso' ma neanche per errore d'essere donna. Beata bambina, che per grazia e' mancante scienza di donna, sola, per il suo genio, un bambino. Entrambi bambi sperduti nei grandi occhi deliziati e spaventati in quel vuoto sos-peso del sorriso, senza peso, senza sos per salvarsi nella coscienza, perché e' nel no, ovvero nell'in-no-cenza - ah, beata indecenza della divina volontà di non voler mai esistere nel fragore della mondanità ma solo nella fragranza del silenzio! - che e' possibile sognare di divertirsi fino al riso e il pianto, che sbocciano all'unisono, nell'unico suono in cui bambina e bambina per sempre sono. L'arte di specchiarsi l'un nell'altra nella deità di Narciso come sonnambuli. Carmelo fu assente da vivo, ora non ci resta che la speranza che un banale anniversario come i dieci anni della sua scomparsa, non portino alla pugna repubblicana, come pubblicani indecenti dell'unico re, Erode, tutti coloro che tenteranno di giocarselo come una palla perseguitata dalla necessita' di andare in rete. Nel senso di media e social-network. Carmelo morirebbe davvero, smembrato in mezzo a tutti quei niente che si ostinano a farlo nascere in un oggetto, in un progetto, in un rigetto, cioe' nel rigurgito di un ricordo espresso, che non odora neanche di caffe', in cui lui non fu mai. Perché mai fu Bene, se non nel mancare in ogni bene terreno. Magari Terrestre, ma il Paradiso non e' qui. Carmelo fu Moz'art: l'arte sublime di mozzare la vita la' dove piu' si ostina ad essere: nella compitazione di una continuità, noiosa assunzione, aliena alla sua adorata Assunta, di contare nella somma di un'unità, piu un'unità, piu un'altra unita'. Il suo cinema, il suo teatro, le sue case, le sue donne, i testamenti. Sarebbe solo l'artificio di voler ricostrire un totem frammento sopra frammento, dove tutti i frati, quegli indaffarati fratelli in Bene, non farebbero che voler mettere in mostra la farsa di mentire di lui. Perche' la verita' e' Terrestre, meglio extra- Terrestre, non terrena. Sulla terra si arena. Lui, che non fu mai una mentina, piccolamente e piccola-mente, per pulirsi l'ali-to. Toh, compaiono in paia finalmente le ali nel soffio della boccccca, con infinite c come quella del conte Ugolino, dannato come il malinconico Saturno a mangiare i suoi figli.

 

Non si può ridurre Carmelo a una storia, lui che non ebbe altro avvenire di venire solo in se' nella bellezza superba dell'attimo eiaculato eternamente. Fu prescelto da una Voce per manifestarsi e per questo pro-sciolto da ogni materia, se non quella alata del suono, per sua natura a-latere di qualsiasi corpo. Lui fu il rovescio del cor-po, fu porco, volo diabolico e angelico del fuoco in fiam-ma, di chi ama il Fiat Lux, che s'alza la dove non c'e che desiderio di tentare l'essenziale, cadente nello scoppio della luce. La luce di una lacrima, quando piangere e' solo piangere dentro fino a sganasciare fuori. Carmelo Bene sospese il tragico per inciampare nel piu' irresistibile comico: il comico involontario. Non fu mai un volontario del riso, non poteva sfuggire alla crudelta' d'essere sopra-fatto dal dolore, ma da lui il nostro riso piu' puro ha preso forma. Leggete la sua critica alla Signorina Felicita di Gozzano per comprendere cosa sia la critica letteraria. Se la trovate, perche' per nostro costume ora appariranno tutti i suoi costumi usi, ma in libreria neppure un suo libro. Il volto del suo volto antico, non da faccia da saponetta, del suo schiaffeggiare la serietà con il piglio da guitto. Perché se fosse qui ora, nel suo eccellente dimenticare, esclamerebbe sgranando gli occhioni bovini: ma come, festeggiate il decimo anniversario della mia morte, ma per favore non sono mai riuscito neppure a nascere? E poi sono morto il sedici marzo del duemiladue a Roma o il primo settembre millenovecentotrentasette, quando a Campi Salentina da utero di donna madre, che può essere matrice solo di Dio e non feticcio di mater in quanto fautrice di umanoidi, apparve un bambino che a tutti ha mostrato come la presunzione di esserci sia solo la bugia di un burattino chiamato Pinocchio. All'occhio critici, amici e parenti. Carmelo non molla la sua facoltà di ridere sulla nostra banalità di rimangiarselo a spizzichi e bocconi, lui l'angelo che ci mostra come il ritorno non sia che il sorriso di guardare verso l'io finto ed esclamare a gran voce: il mondo? E' finito. Splende solo nel riso di una speranza: che una bambina e un bambino ritornino a perdersi per sempre in un carmelodioso bene d'amore. In vita un Carmen Bene-volo, ovvero vero Bene solo quando volava come il Santo Idiota, San Giuseppe da Copertino.

In arte, Carmelo Bene. Per nostalgia dell'eterno ritorno della carne in spirito, in quanto riso come pianta del pianto. A chi non perse e disperse mai una lacrima, come te Carmelo, che sorridesti nel tutto. E del tutto.

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