Storia d'assalto

Il tragico carnaio di Cassino: inferno all'ombra dell'abbazia

Cassino rappresentò uno snodo decisivo per il fronte italiano nella Seconda guerra mondiale, ma trasformò le zone vegliate dalla secolare abbazia in un inferno di fuoco e macerie

Il tragico carnaio di Cassino: inferno all'ombra dell'abbazia

La battaglia di Cassino infuriò ferocemente a partire dal 17 gennaio 1944 impegnando, nei quattro mesi successivi, i reparti alleati intenti a risalire l'Italia e a respingere le forze tedesche che dalla resa del governo Badoglio del settembre 1943 ne occupavano una parte sostanziale.

Primo teatro aperto dalla coalizione a guida anglo-americana nell'Europa occidentale, la campagna d'Italia si era arenata dopo che allo sbarco di Salerno (8 settembre 1943) era seguita la pronta conquista di Napoli (1 ottobre). Considerata secondaria nel quadro di un disegno strategico che prevedeva come prioritaria l'Operazione Overlord (sbarco in Normandia) del giugno successivo, essa serviva in primo luogo a inchiodare oltre le Alpi consistenti forze e riserve tedesche. Il maresciallo britannico Harold Alexander, comandante delle forze alleate in Italia, calcolò che nel 1943, in Italia, tredici divisioni alleate tenevano impegnate diciotto divisioni tedesche, di dimensione e organico mediamente ben più ridotte, che complice la natura geografica favorevole del contesto appenninico, che gli Alleati erano costretti a risalire, riuscirono a trincerarsi efficacemente.

La Linea Gustav

Il comandante tedesco del fronte italiano, feldmaresciallo Albert Kesselring, aveva predisposto una graduale ritirata delle forze del Terzo Reich dalla linea temporanea tenuta sul fiume Volturno alla più imponente Linea Gustav, che rappresentò una lungimirante intuizione in termini di ingegneria militare e strategia difensiva. La Gustav consolidava una piattaforma difensiva continua tra Mare Adriatico e Mar Tirreno collegante Gaeta, nel Lazio, e Ortona, in Abruzzo, in corrispondenza di uno dei punti di minore larghezza della penisola. Da costa a costa, la Gustav consisteva in una serie di fortificazioni poste su rilievi naturali, gole, strettoie volte a presidiare con il minor numero di uomini il massimo territorio facendo perno sull'ostile natura degli Appennini, sull'asprezza del territorio e sul controllo del passaggio obbligato rappresentato dalla serie di valli fluviali nel cuore dell'Italia centrale.

Il perno di questo schieramento fu individuato in Cassino, nel Lazio meridionale, città che come ricorda Matthew Parker nel suo libro dedicato alla battaglia (Montecassino, Il Saggiatore, 2009) rappresentava la porta alla valle del Liri che avrebbe aperto agli Alleati la strada di Roma. Facendo saltare una diga ed esondare il fiume Rapido i tedeschi trasformarono in un pantano acquitrinoso il terreno attorno Cassino, e mentre in prima linea la la 29ª Divisione granatieri corazzati incorporata nella Decima Armata del generale Heinrich von Vietinghoff dettava con la sua ritirata ordinata i tempi dell'avanzata alleata nell'abitato sorto all'ombra dell'antica Abbazia di Montecassino venivano installati campi minati, nidi di mitragliatrice, capisaldi.

Il generale statunitense John Lucas si lamentò il giorno di Santo Stefano dei ritardi nell'avanzata alleata: "L'offensiva è di una lentezza spaventosa, [...] non abbiamo truppe sufficienti per andare più veloci e temo che con il passare del tempo diventeremo più deboli, non più forti: sono convinto che questo stia diventando un teatro secondario". A fine gennaio era previsto lo sbarco di Anzio volto ad aggirare la Linea Gustav, ma la presenza di capisaldi e teste di ponte tedesche rendeva l'esistenza stessa della linea un grattacapo da risolvere per gli Alleati. Il comandante supremo Dwight D. Eisenhower espresse la sua personale visione ritenendo preferibile per gli Alleati inchiodare il maggior numero possibile di truppe tedesche sul suolo italiano e dare dunque fondo a tutti i reparti disponibili: nel corso dell'offensiva di Cassino agli anglo-americani si sarebbero aggiunti reparti del Commonwealth (Nuova Zelanda in primis), della Francia Libera e del governo polacco in esilio. Rendendo l'armata d'Italia un vero e proprio esercito multinazionale, il cui perno erano il II Corpo d'Armata Statunitense del maggior generale Geoffry Keyes, forte di quattro divisioni di fanteria ed una corazzata, e il X Corpo Britannico, dotato di tre divisioni.

Il comandante tedesco nel settore di Cassino, guidate dal generale Fridolin von Senger, potevano invece contare su otto divisioni, di cui due (3° e 15°) di Panzergrenadier, mentre tra Cassino e l'Adriatico era schierata un'unità destinata a entrare nella storia della battaglia, la 1° Divisone Paracadutisti, i cui membri sarebbero stati soprannominati dagli Alleati i Green Devils, "Diavoli Verdi", per la tenacia mostrata nella lotta per Cassino.

Ritorno alla Grande Guerra

A inizio gennaio 1944 il contatto con la Linea Gustav fu raggiunto e iniziarono le schermaglie sul fronte appenninico. In quel contesto maturerà la situazione strategica che ben presto porterà all'inizio del carnaio di Cassino.

Gli storici dibattono da tempo su come la battaglia ebbe effettivamente inizio, ma è ormai appurato che fin dal contatto tra tedeschi e Alleati sul fronte della Linea Gustav la regione di Cassino, dall'inizio del 1944, fu oggetto di schermaglie, azioni di unità e commando, tentativi di aggiramento. Nei giorni successivi al 15 gennaio 1944 la pressione alleata si fece più forte: l'obiettivo di Alexander e del comandante statunitense Mark Clark era tentare l'avanzata mettendo sotto pressione i tedeschi e evitando che delle riserve si potessero sganciare per raggiungere la costa in visto dell'imminente sbarco di Anzio, con cui si sarebbe tentato l'avvicinamento a Roma aggirando la Gustav.

Il meteo gelido, il terreno difficile e ostile, la scarsa preparazione degli Alleati al fuoco di sbarramento e alle efficaci trappole tedesche impantanarono fin dall'inizio la battaglia tra gli Appennini e la valle del Liri in una snervante guerra di posizione. Dalle loro postazioni i tedeschi erano in grado di mettere in campo efficaci contrattacchi e misure di alleggerimento: quando il 20 gennaio una task force americana tentò di costituire una testa di ponte oltre il Rapido, un contrattacco di fanteria e mezzi corazzati tedeschi la travolse nel giro di 48 ore, portando all'annientamento di due reggimenti e alla morte di oltre 900 militari a stelle e strisce, a fronte di 90 caduti per le truppe del Reich. Il contrattacco era stato reso possibile dal controllo tedesco sul paesino di Sant'Angelo, punto di osservazione privilegiato posto su una collina soprastante il corso d'acqua.

Quando lo sbarco a Anzio comandato dal generale Lucas, iniziato il 22 gennaio, si palesò come un fallimento e la testa di ponte alleata sul litorale laziale non fu espansa fino alle dimensioni necessarie a consentire attacchi alle spalle della Gustav Cassino assunse ulteriore valenza strategica e politica. Da Londra Winston Churchill perorava un'offensiva costante per motivazioni militari e politiche, volendo sfuggire alle accuse sovietiche secondo cui Mosca stava sobbarcandosi un peso eccessivo nel conflitto con le potenze dell'Asse mentre gli Alleati occidentali rimandavano da mesi l'apertura del secondo fronte in Francia.

La battaglia di Cassino riaprì per alcuni mesi negli incubi dei combattenti e dei comandanti i ricordi dei tempi della Grande Guerra. Il fronte appenninico presentava peculiarità della guerra di trincea del fronte occidentale (snervanti attacchi e contrattacchi, sostanziale sacrificabilità tattica delle unità di fanteria, assenza di reali punti decisivi in cui portare attacchi e offensive) e del fronte alpino (necessità di conquistare ridotti montani di difficile accessibilità, preponderante squilibrio a favore delle forze della difensiva nella conduzione tattica), e un paragone con la Somme fu avanzato dal veterano della Grande guerra von Senger. Questi, che continuava a nutrire dubbi sulla difendibilità di Cassino, fu però magistrale tra la seconda metà di gennaio e la prima di febbraio a contenere avanzate locali e iniziative autonome dei reparti alleati. Diversi battaglioni coloniali algerini della Francia Libera furono decimati, mentre tra il 17 gennaio e l'11 febbraio i britannici persero 4.000 uomini tra morti e feriti .

Il bombardamento dell'abbazia

Nel furore della battaglia, l'abbazia Montecassino svettava, a 516 metri di quota, silenziosa e indisturbata nel furore degli scontri. Troneggiando sul colle da cui San Benedetto da Norcia aveva, nel 529, iniziato la stagione di rinascita della cristianità dopo il tracollo dell'Impero Romano, Montecassino aveva più volte subito assalti, distruzioni, saccheggi. A distruggerla per primi erano arrivati i longobardi nel 580, seguiti tre secoli dopo dai saccheggiatori saraceni. Nel 1349, mentre in Europa infuriava la peste nera, a raderla al suolo era stato un terremoto. Resistente e tenace, Montecassino era risorta più volte, animata e vitalizzata dalla saggezza, l'impegno e la dedizione dei monaci benedettini, che l'avevano trasformata in un polmone culturale per l'intera civiltà cristiana, uno scrigno nella cui biblioteca i codici miniati testimoniavano la salvezza di un'antica saggezza che all'inizio del Medioevo rischiava di andar perduta.

La storia avrebbe nuovamente messo alla prova Montecassino: dopo averne a lungo rispettato la neutralità e dopo che i suoi tesori erano stati portati al sicuro in Vaticano, i tedeschi iniziarono a valutare l'inserimento di Montecassino nel perimetro difensivo, mentre gli Alleati iniziarono a valutare l'ipotesi di utilizzare i bombardamenti strategici come arma per vincere la battaglia seppellendo Cassino e i suoi difensori sotto una pioggia di bombe incendiarie. Il generale neozelandese Bernard Freyberg, i cui uomini avrebbero avuto il compito di sferrare l'offensiva di metà febbraio, divenne il più caloroso sostenitore della necessità di radere al suolo l'abbazia per prevenirne l'occupazione da parte tedesca, sostenendo su informazioni ricevute dalle truppe indiane al servizio degli Alleati che postazioni militari erano già state installate nel colle.

Clark, dopo aver a lungo tergiversato, cedette e acconsentì all'utilizzo della forza aerea statunitense. Il 15 febbraio, alle 9.45, un'ondata ininterrotta di bombardieri statunitensi (dai B-17 Flying Fortress ai B-24 Liberator), 229 in tutto, martellò Montecassino sganciando in totale oltre 350 tonnellate di bombe. Montecassino fu rasa al suolo, centinaia di civili sfollati al suo interno rimasero uccisi e l'attacco si rivelò una barbarie senza senso, oltre che una mossa spregiudicata e controproducente sul fronte militare. Tra le rovine dell'abbazia e dell'abitato i tedeschi ebbero gioco facile a portare nuove postazioni fortificate, i paracadutisti si installarono contendendo metro per metro le rovine agli alleati. L'assalto neozelandese degli uomini di Freyberg mandò al massacro le truppe maori sotto il suo comando, mentre analoga sorte subirono indiani e gurkha nepalesi impiegati nello scontro.

La battaglia si sposta in città

Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana la guerra di logoramento alleata fatta di assalti, bombardamenti, raid, martellamenti aerei e di artiglieria iniziò a produrre i primi, ridotti, risultati. Con l'abbazia e Cassino ridotti a cumuli di macerie i tedeschi si erano potuti fortificare, ma la loro già fragile linea logistica iniziava ad assottigliarsi e i ricambi di uomini, mezzi e munizioni iniziarono a farsi sempre più difficoltosi.

Il 14 marzo un nuovo bombardamento aereo massiccio fu seguito da un raid di artiglieria in cui 748 pezzi spararono sulla cittadina e sul monastero quasi 200mila proiettili. Il paesaggio della cittadina si fece lunare: macerie, crateri, postazioni improvvisate cancellate dai proiettili assieme ai loro occupanti e altre che si spostavano disperatamente da un punto di impatto all'altro. Ciò che restava degli edifici simbolo di Cassino (l'abbazia, stazione, l'Hotel Continental e l'Hotel des Roses) era saldamente occupato dai "Diavoli verdi", quelli che in un omonimo romanzo Sven Hassel definì "gli sporchi dannati di Cassino". Mortai, cecchini, bombe a mano, agguati, armi bianche: tutto valeva in un confronto che andava assumendo i toni della sanguinosa lotta affrontata dai tedeschi per tentare di occupare Stalingrado un paio di anni prima.

A prezzo di durissime perdite, offensiva dopo offensiva gli Alleati avevano indebolito le forze dei tedeschi, i cui battaglioni constavano di 50-100 uomini in media. Il più realista era von Senger, che nonostante i successi difensivi dei suoi uomini lamentava la totale assenza dal campo di battaglia della Luftwaffe e pensava alla futura resistenza unicamente come a un fattore dilatatorio. Sul fronte alleato, dopo i fallimenti delle settimane precedenti Freyberg e gli altri generali del Commonwealth iniziarono a mostrarsi insofferenti nei confronti di Clark per la promozione della strategia della guerra di logoramento, che in ogni caso fu soprattutto frutto della volontà di Alexander. Ad aprile le forze effettive sul campo parlavano di 108 battaglioni alleati contro i 57 tedeschi, di una supremazia aerea di dieci a uno (3.000 contro 300) e dell'arrivo sul fronte di 1.600 cannoni e 2.000 carri armati. Il mese fu dedicato alla preparazione da parte alleata della quarta offensiva.

Lo sfondamento

Alle 11 del 12 maggio 1944 1.600 cannoni esplosero con tutta la loro potenza di fuoco sul fronte di Cassino. Fu il preludio del quarto e decisivo assalto, in cui le resistenze dei difensori di Cassino furono messe a dura prova dall'avanzata di una nuova forza nello schieramento alleato, la brigata polacca formata da uomini scappati all'occupazione e alla distruzione del loro Paese da parte della Germania nel 1939 e desiderosi di riscatto e rivalsa.

Protetto dal fuoco di sbarramento il II Corpo d'armata polacco del tenente generale Władysław Anders con la 3ª Divisione di fanteria Karpackich e la 5ª Divisione Kresowa appoggiate da una brigata corazzata non scalò il colle dell'abbazia ma tentò di aggirarlo e fortificarsi attorno ad esso. In una riedizione delle prime battaglie della guerra, questa volta con i tedeschi sulla difensiva, le truppe di Anders furono respinte dopo limitate avanzate dal fuoco di sbarramento dei Diavoli Verdi, che però poco poterono con la seconda ondata rappresentata dal dirompente corpo d'armata francese del generale Juin. Il 13 maggio le truppe marocchine di Juin, espugnando monte Maio, il bastione meridionale della linea Gustav nella valle del Liri, fecero cadere un importante caposaldo difensivo tedesco, permettendo di minacciare con maggiore forza Montecassino. Al cui assalto tornarono i polacchi: il 17 maggio il colle fu espugnato dopo la ritirata degli ultimi difensori tedeschi, timorosi di un accerchiamento.

Il collasso del fronte di Cassino portò alla ritirata tedesca. Espugnando il paese laziale la chiave di volta della Linea Gustav fu conquistata dopo inenarrabili sofferenze. Davanti agli Alleati si aprirono le porte di Firenze e Roma, in cui gli statunitensi fecero il loro ingresso il 4 giugno, prima che una nuova linea difensiva tedesca, la Gotica, sbarrasse loro l'accesso alla valle del Po fino alla primavera successiva.

Lo storico John Ellis, nel suo resoconto particolareggiato dei combattimenti di Cassino, l'ha definita "una vittoria vuota" per i tremendi costi umani (55mila morti, feriti o prigionieri alleati contro i 20mila tedeschi), e anche Basil Liddell Hart non ha mancato di criticare l'ostinata volontà alleata di accanirsi contro un fronte così tenace in un teatro secondario per i fini del conflitto. Kesselring, per mezzo dei suoi comandanti locali, riuscì a salvare il salvabile, dilazionando al 1945 il crollo del fronte italiano, mentre la maggior problematica per i tedeschi fu l'impossibilità di distogliere dal fronte italiano riserve e truppe che avrebbero reso più complesse le operazioni alleate in Normandia a giugno 1944.

In conclusione, la battaglia di Cassino, compiuta nel penultimo anno della guerra, riportò alla mente le immagini di massacri risalenti a un trentennio prima. Insegnò la durezza che poteva essere associata a conflitti tanto intensi, casa per casa, nell'era di armi avanzate e letali come quella del secondo conflitto mondiale. Ridimensionò le aspirazioni di coloro che credevano di poter vincere battaglie terrestri unicamente grazie ai bombardamenti strategici. Mandò in rovina, per l'ennesima volta, un capolavoro dell'umanità come l'abbazia. Le cui rovine, a mo' di contrappasso, furono difese con tanta tenacia da portare alla distruzione di più vite e mezzi alleati di quelli che Freyberg intendeva risparmiare accelerandone la distruzione e la conquista. E le immagini delle rovine fumanti di Cassino ricordano, a quasi settant'anni di distanza, l'assoluta follia e brutalità della guerra.

In cui distinguere il bene e il male è, in certi frangenti, impossibile.

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