Ma che borghesi gli antiborghesi

Ma che borghesi gli antiborghesi

Deve ancora essere scritto un libro che racconti senza pietà gli innumerevoli disastri compiuti da molti intellettuali nel corso della prima metà del Novecento, dato che la stragrande maggioranza parteggiò per il fascismo, il nazismo e il comunismo. Ciò che li accomunava era l’odio radicale contro l’individualismo liberale, additato come causa ideologica della legittimazione di una società, quella borghese, tendente soltanto al prosaico benessere, e quindi avversa a concezioni «eroiche» ed «estreme» del vivere sociale. Una società, ricordiamolo, che appariva insignificante per la sua strutturale incapacità di conferire un senso forte e trascendente della vita. Tale stato d’animo non è si è esaurito con la caduta del fascismo e del nazismo, ma è continuato fino al ’68 e oltre, quando ha trovato ulteriore alimento nella sistematica avversione a tutta la civiltà occidentale.
Abbiamo ora a disposizione una raccolta di saggi di uno dei grandi maestri italiani della storiografia filosofica, scomparso di recente, Paolo Rossi: Un breve viaggio e altre storie. Le guerre, gli uomini, la memoria (Cortina, pagg. 189, euro 13); saggi che riguardano alcuni momenti salienti della nostra storia nazionale, come il fascismo, la Seconda guerra mondiale, il dopoguerra e gli anni di piombo. Essi delineano alcune figure della cultura italiana intrise di quell’animus illiberale che abbiamo appena descritto.
Uno dei tanti banchi di prova dell’avversione antiliberale alla società borghese è riscontrabile, a giudizio di Rossi, nel secondo dopoguerra, quando si registra il repentino passaggio di molti intellettuali dal fascismo all’antifascismo; passaggio che, opportunismo a parte, delinea una continuità ideale dovuta alla sostanziale avversione all’individualismo liberale; continuità a suo tempo sintetizzata dalla battuta di Ennio Flaiano, per il quale ci sono due fascismi in Italia: il fascismo e l’antifascismo. Leggendo l’impietosa ricostruzione di Rossi ne abbiamo la piena riprova nella biografia di molti esponenti della cultura di sinistra; un percorso intellettuale emblematicamente rappresentato dal filosofo Enzo Paci, passato dal fascismo all’antifascismo per approdare, durante il ’68, a un estremismo radicale e irresponsabile.
Tale estremismo è rintracciabile in molti altri intellettuali. A esempio nel marxista Cesare Cases, il cui radicale antioccidentalismo si spinse ad affermare che la liberazione dell’uomo consisteva «nello scrollarsi dalle spalle la civiltà occidentale». Rossi, soprattutto, è caustico nei confronti di coloro che demonizzano l’Occidente senza ripudiare nei fatti nulla del benessere che esso produce. Sempre sull’onda di questa irresponsabilità autoreferenziale possono essere visti anche i contraccolpi del marxismo: la sconfitta storica ne ha fatto affiorare la vera natura, l’essere cioè una gnosi travestita da scienza, vale a dire una forma mondanizzata dell’escatologia giudaico-cristiana. La contrapposizione manichea fra il Bene e Male si rintraccia, a esempio, nel profetismo millenaristico di due famosi intellettuali marxisti, Alberto Asor Rosa e Danilo Zolo. Quest’ultimo ha affermato che il terrorismo globale può essere definito come una «replica sanguinosa» provocata dalle «strategie egemoniche degli Stati Uniti». Ne consegue che per sconfiggerlo bisogna «liberare il mondo dal dominio economico, politico e militare degli Stati Uniti e dei loro alleati europei». Insomma, la colpa è tutta dell’Occidente.
Dove però il catastrofismo apocalittico, quale forma di autocompiacimento anti-borghese, trova per Rossi il proprio apogeo è negli incredibili giudizi «estetici» di Pietro Citati e Guido Ceronetti riguardanti l’attentato dell’11 settembre 2001. Così Rossi: «Pietro Citati ha scritto che Osama bin Laden e i suoi compagni “posseggono un genio della politica come oggi nessuno al mondo. Hanno una grandiosa immaginazione, una ferrea volontà, un’estrema lucidità razionale, un’intuizione potentemente semplificatrice, una spaventosa audacia intellettuale”.

(A sua volta) Guido Ceronetti parlò della follia di chi aveva fatto costruire “quelle sciagurate Torri Gemelle”, affermando che il pensiero di ricostruirle “è della stessa natura tenebrosa del progetto terroristico che le ha abbattute”». Qui ogni commento è superfluo.

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