La macchia non va via. E allora che si fa? Si va dal cameriere e gli si dice: «Scusi, avrebbe uno smacchiatore?». Ma il cameriere, in questo caso, non è propriamente un cameriere, è il maître e nello stesso tempo il titolare del ristorante, oltre a esserne il possessore da qui all'eternità. Quindi potrebbe inalberarsi, se venisse scambiato per un semplice dipendente. Se invece la macchia in questione non è un volgare schizzo di pomodoro, bensì La macchia umana di Philip Roth, uno che già di suo è propenso a inalberarsi, e se l'incauto avventore giunto a uno dei suoi tavoli è qualcuno che crede di essere la Guida Michelin del mondo, allora il conto da pagare sarà salatissimo, e lo sputtanamento, sotto gli occhi degli altri clienti, sarà epocale.
A macchiarsi di una grave macchia sulla Macchia umana del settantanovenne scrittore statunitense è stata proprio quella che tutti considerano la Guida Michelin del sapere universale: Wikipedia, il sicuro riparo degli incolti (come chi scrive), la chioccia sotto le cui ali ci si rifugia per ottenere il conforto di una data, di una circostanza, di un link quale che sia. E la macchia che non va via ha mandato su tutte le furie proprio lui, Roth, il quale, da par suo, ha preso carta e penna e le ha cantate belle agli interessati. Con una lettera aperta, che equivale allo sputtanamento di cui sopra. C'è da capirlo, il povero Roth. Lui aveva tentato di smacchiare la sua Macchia dall'errore subito nella voce apposita dell'enciclopedia internettiana. Ma non glielo hanno concesso. E quindi, se guerra dev'essere, che guerra sia.
Altro che Lamento di Portnoy, è stata una lavata di capo clamorosa, quella che lo scrittore ha affidato al New Yorker. «Cara Wikipedia» è l'esordio, formalmente ineccepibile, ma che, conoscendo il tipo, non lascia presagire nulla di buono, «sono Philip Roth. Di recente ho letto un grave errore che avrei voluto veder corretto: un errore entrato in Wikipedia non dal mondo della verità ma dal bla bla del pettegolezzo letterario. E che non ha alcun fondo di verita». Punto e a capo.
Sentire uno come Roth che ti dice tu ti affidi al bla bla del pettegolezzo letterario non è una bella cosa. Se poi il servizio di barba e capelli comprende anche: 1) l'aver snobbato come «fonte poco credibile» proprio lui, che voleva correggere lo sfondone; 2) fra l'altro dopo che sempre lui si era rivolto a un «interlocutore ufficiale», non a un qualsiasi ragazzino brufoloso; 3) rispondendogli che no, mister Roth, lei non è «una fonte credibile»... Beh, allora ditelo, che aspirate alla figura da cioccolatai... I vertici di Wikipedia si sono giustificati più o meno così: certo, l'autore è la massima autorità sul suo lavoro, ma le nostre regole richiedono il conforto di «fonti secondarie».
Ecco l'asso pigliatutto, le «fonti secondarie». Perché le primarie non contano. Sono di parte, quindi inattendibili. Nodo del contendere, macchia ormai indelebile sulla camicia bianca di Wikipedia, è un'illazione in base alla quale il personaggio centrale della Macchia umana, il professore accusato di razzismo Coleman Silk, sia stato ispirato dalla vita dello scrittore Anatole Broyard. «Nulla di più falso», secondo Roth che invece spiega come il romanzo tragga origine da un «evento infelice» nella vita del suo defunto amico Malvin Tumin, sociologo a Princeton per circa trent'anni.
Tumin, come Silk, usò nei confronti di due studenti di colore che non si erano mai presentati a lezione una parola a doppio senso: spooks che significa «fantasma» ma è usato anche come peggiorativo per «neri». Ne era seguita un'inchiesta accademica durata anni da cui il professore di Princeton era uscito assolto ma psicologicamente con le ossa rotte. Eccolo lì, il vero Silk, bastava chiedere...
Non hanno chiesto, anzi hanno alzato le spalle. Eppure, come ricorda Roth, la stesura di un romanzo «è per il romanziere un gioco di immaginazione. Come quasi tutti gli scrittori che conosco io sapevo di avere quello che Henry James chiamò una volta il germe, nel mio caso i guai di Tumin a Princeton.
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