Che simpaticone Stalin se lo racconta Ovadia

Q uando a Milano c'è uno spettacolo di Moni Ovadia vado a vederlo. Moni Ovadia è un guitto di gran classe, e se i suoi spettacoli - come spesso accade - sono ben costruiti, il godimento è assicurato. Sono stato a vedere anche l'ultimo spettacolo, di scena al Teatro Grassi di Milano, dal titolo AdessO OdessA. Fossi qui a parlare in veste di critico, direi che AdessO OdessA non è uno degli spettacoli meglio riusciti di Ovadia.
Fosse solo per questo, tuttavia, non avrei mai scritto il presente articolo. La ragione del mio intervento è un'altra. Nello spettacolo, che abbraccia un arco di storia di Odessa tra la fine dell'epoca zarista e la globalizzazione, l'attore bulgaro parla spesso di Stalin, né potrebbe evitarlo. La sorpresa è che Stalin esce piuttosto bene dallo spettacolo, come se l'ebreo Ovadia lo guardasse con simpatia. Apprendiamo che Stalin aveva trattato bene gli ebrei fino a quando non ebbe bisogno di un nemico (sic), che nell'epoca staliniana molte cose andavano benissimo, i teatri sfavillavano e il livello d'istruzione raggiunto era molto più alto del nostro (cosa che non fatico a credere). Stalin è anche il protagonista di una gustosa storiellina nella quale un bimbo ebreo invita il dittatore a casa sua per un tè, e alla fine il dittatore (raggirato dalla di lui mamma) regala a quel bimbo una casa nel centro di Mosca. Non che Ovadia ometta di dire che Stalin fu un dittatore, ma alla fine questo dittatore, responsabile diretto e indiretto di 80 milioni di morti, ci risulta simpatico. Benissimo. Allora però non si capisce perché dire che Mussolini fece cose buone debba destare tutto questo scandalo. Ma visto che Mussolini era una mezza calzetta, anche come criminale, parliamo del solo pari grado di Stalin: Adolf Hitler.
Immaginate uno spettacolo su una città tedesca al tempo di Hitler, poniamo Dresda, al tempo una delle più belle città del mondo. Immaginate che in questo spettacolo, tra una canzone e l'altra, si parli del livello degli studi al tempo di Hitler, con Martin Heidegger o Werner Karl Heisenberg seduti sulle cattedre e intellettuali di genio ma indubbiamente nazisti come Gottfried Benn. Immaginate che un guitto bravo come Moni Ovadia ci spieghi che al tempo di Hitler la cultura fioriva. Tutto questo non sarebbe possibile. Voci di sdegno si leverebbero da ogni dove, e a ragione. Si può dire, certo, che Hitler amava i film americani e che aveva una preferenza per il Cointreau, ma solo in un contesto non equivoco, dove è chiaro per tutti che ad amare quelle cose era «quel mostro» che fu Hitler. Bene, se questo è vero per Hitler, deve essere vero perlomeno anche per Stalin. Non ha importanza quello che pensa Ovadia: ci racconti pure aneddoti divertenti su Stalin, ma deve essere chiaro il contesto in cui queste cose vengono dette - quello non lo possiamo scegliere noi. Certo, si potrebbe anche proporre una moratoria, dichiararci liberi dai fantasmi del passato e ricominciare a parlare di questi mostri così, liberamente, come si potrebbe parlare di Giulio Cesare o di Nabucodonosor. Ma tutti capiscono che sarebbe una moratoria da imbecilli, sia perché molte decine di milioni di morti sarebbero ridotti per sempre al silenzio, sia perché noi ci sentiremmo ipocritamente immuni da quella mostruosità.

Per questo, senza offesa e senza discutere le opinioni di Ovadia, a tutto questo è bene dire semplicemente di no. No all'orrore, che è sempre lo stesso orrore (l'orrore non ha fantasia). E dunque no al Cointreau di Hitler, no ai treni in orario di Mussolini e no alle bellissime scuole di Stalin.

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