M-o-s-s-e, m-e-s-s-a, m-e-s-s-e... P-i-a-g-n-e-s-s-e! Da «piagnere», variante arcaica di «piangere». Chissà, qualcuno potrebbe trovare anche «gonesse». O «busse». O addirittura - e vincerebbe sicuro - «barrecarrosse».
Ci voleva Ruzzle per tornare a discutere della lingua italiana dal punto di vista grammaticale. Dopo la scuola media, e prima di Ruzzle, non avevamo mai più fatto caso al troncamento («tal», «qual»...) e ai plurali irregolari («lenzuoli» o «lenzuola»? Mah...).
Da quando è scoppiata la mania di Ruzzle, il paroliere nell'era del touch screen, la lingua italiana sembra conoscere un'insperata renaissance (e poi perché alcune parole straniere le prende, e altre no?). I programmatori della versione nazionale di Ruzzle, sulla base del dizionario Zingarelli, hanno previsto 86mila vocaboli, ampliati dalle numerose forme declinate, flesse, i diminutivi, gli accrescitivi... E i giocatori si sfidano, e s'interrogano, a colpi di arcaismi («crine», ad esempio) o pronomi accusativi («me», «mi», «te», «ti»...) o riflessivi (che non valgono, peraltro). E comunque, come dicono alla Zanichelli, «Non è Ruzzle che sbaglia, sono i giocatori che conoscono poco l'italiano». La Crusca, invece, ammette che sia un esercizio utile, «ma a condizione che finita la partita si vada a vedere sul dizionario il significato delle parole scoperte». S-t-e-i. I-t-t-o. E-m-i-n-a. Bravo.
Ha conquistato milioni di fan, centinaia di vip, tantissimi giornalisti, categoria che notoriamente ama giocare con le parole, e presto la prima serata tv con un quiz di Gerry Scotti. Ma soprattutto Ruzzle ha ingabbiato, in una griglia di 16 caselle, un numero infinito di italiani che credono di conoscere l'italiano, scoprendo a fine partita che non è vero. Ogni volta c'è una parola in più, che avevamo dimenticato. E un bip finale che arriva inesorabilmente troppo presto.
Tutti i giochi sono come la vita: il tempo non basta mai, l'«altro» è un bastardo a prescindere, e comunque c'è sempre qualcuno che bara.
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