Cultura e Spettacoli

Cinema, a Torino una mostra celebra il neorealismo italiano

Al Museo nazionale della Mole antonelliana, fino al 29 novembre, «Roma città aperta»: una rassegna che, a 70 anni dal capolavoro di Rossellini racconta (con 180 fra foto e documenti, 15 manifesti, otto interviste e innumerevoli sequenze da 55 film) la stagione della cinematografia italiana che più influenzò la settima arte

Cinema, a Torino una mostra celebra il neorealismo italiano

«Lo splendore del vero nell'Italia del dopoguerra»: è il sottotitolo che illustra perfettamente il senso di una mostra unica, per ricchezza di materiale e ampiezza, su quella felicissima stagione del cinema italiano che fu il neorealismo. Al Museo nazionale, dall'Aula del Tempio della Mole Antonelliana di Torino, fino al 29 novembre, l'esposizione si sviluppa con oltre 180 fra fotografie e documenti, 15 manifesti, 23 monitor che ripropongono sequenze tratte da 55 film intervallate da otto interviste esclusive ad altrettanti registi che raccontano il loro rapporto con il neorealismo: Davide Ferrario, Marco Bellocchio, Martin Scorsese, Bernardo Bertolucci, Bernard Tavernier, Edgar Reitz, Abderrhamane Sissako, Robert Guediguaian. Perché il valore culturale e artistico del neorealismo si misura anche con il grande numero di persone che decisero di dedicarsi al cinema proprio dopo aver visto i film realizzati dai registi protagonisti di quella stagione
Presentata dal direttore del Museo nazionale del Cinema, Alberto Barbera, che l'ha curata con la collaborazione di Grazia Paganelli e Fabio Pezzetti Tonion, la mostra racconta, in occasione dei 70 anni di un film emblema di quella corrente cinematografica, «Roma città aperta», una stagione che rivoluzionò il modo di fare cinema. Su tre monitor le voci di intellettuali e scrittori famosi, da Alberto Moravia a Jean-Luc Godard a Pier Paolo Pasolini, che spiegano la loro idea di cinema neorealista.
L'esposizione si snoda attraverso sezioni che scorrono come fotogrammi di un'unica pellicola: Rossellini, Visconti e De Sica, poi Lizzani, De Santis e Lattuada fino agli anni Cinquanta e Sessanta e a quanti raccolsero quell'eredità come Rosi, Germi, Maselli, Castellani. Trovano spazio, i prodromi, quale il «Renoir» di Torino e i film di De Robertis o l'esperienza dei documentari con Antonioni che nel '39 iniziò a girare «Gente del Po». E trovano spazio gli sceneggiatori che più hanno contribuito a delineare i canoni della scrittura filmica di quegli anni: Zavattini, Amidei, Suso Cecchi D'Amico.
«Quando bambino chiesi a mio padre che cos'è il neorealismo - ha ricordato oggi Renzo Rossellini - lui mi disse: esiste un'estetica del bello, noi cerchiamo quella dell'utile agli esseri umani». Con lui, a presentare l'evento, altri figli di big: Emi De Sica con il marito Sergio Nicolosi, Silvia D'Amico.
Rivoluzione non solo estetica, dunque, ma anche etica. Il cinema metteva sul grande schermo l'Italia, ancora sofferente, del dopoguerra urlando la voglia di liberazione che ormai non era solo dal fascismo, ma dalla povertà, dall'emarginazione e dall'ignoranza.
Un'Italia che voleva sognare con «Bellissima» e che denunciava le ingiustizie sociali di «Ladri di biciclette» e «Miracolo a Milano» con le sue bidonville di periferia. Una storia quella del neorealismo - ha osservato Barbera - che ancora ci parla, ha influenzato e ancora influenza i linguaggi artistici».

Non solo in Italia ma in tutto il mondo, dato che ancora oggi registi e attori europei ma anche americani (del Nord e del Sud), australiani e asiatici sottolineano l'importanza che hanno avuto nella loro formazione artistica i film dei «mostri sacri» del neorealismo.

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