Cultura e Spettacoli

il commento 2 La cultura del Pd si è fermata allo statalismo

diIl Partito Democratico ha diffuso il proprio programma sulla cultura. Le proposte sono pressappoco le stesse del Pci nel 1974: la cultura è un diritto della persona e tale diritto è garantito dallo Stato; il patrimonio culturale è un bene pubblico e lo Stato deve preservarlo; la ricerca è un nodo strategico e lo Stato deve farsene carico. Una simile visione statocentrica l'avevano il Partito Comunista negli anni '70 e il Partito Nazionale Fascista nel primo '900. Il principio di fondo, pur graduato diversamente, è lo stesso: lo Stato regolatore che indirizza, educa e sceglie. Nella cultura il Pd è il partito più arcaico: nell'800 vi era chi contrastava lo sviluppo delle auto sostenendo ancora la biada e i cavalli; oggi la biada e i cavalli sono rappresentati da chi come il Pd conserva un primitivismo culturale inconcepibile per una forza di governo. Per il partito di Bersani la cultura è un diritto tutelato dallo Stato. Ed è sbagliato. La cultura è da sempre un desiderio. «L'imprenditoria pubblica non ha inventato Google» (Alberto Mingardi). L'opera di Primo Levi non è difesa dallo Stato, ma dai lettori e dalla Einaudi, l'azienda che la vende in tutto il mondo. Lo Zibaldone di Leopardi non è stato tradotto in inglese perché la cultura è un diritto, ma perché Silvio Berlusconi, sostenendo una libera petizione tra lettori del poeta, ha donato 100mila euro per la traduzione. Da Gutenberg agli inventori di Google, da sempre la cultura si è ravvivata dove non vi sono sovrastrutture di Stato che la preservano come un bebé in culla. Questo primitivismo culturale ha portato il Pd a proposte miopi: più soldi al ministero dei Beni culturali, abolizione delle sue direzioni regionali, vaglio da parte del Mibac dei progetti di valorizzazione, impossibilità di cambio d'uso dei beni culturali, il sostegno privato non diventi privatizzazione. Invece che libertà, apparati, controlli, inibizioni. Nel programma, anche emerite sciocchezze: per loro l'autonomia della cultura è garantita dal carattere pubblico degli investimenti. Storicamente è falso: gli investimenti pubblici più consistenti li fanno i dittatori, che impongono stili architettonici, programmi educativi e culturali, e certo la cultura non è né libera né autonoma.

Almeno lo studio della storia dovrebbe animare chi scrive i programmi politici.

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