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Condannati all'inferno: l'oscuro lavoro nelle galere

I rematori sono stati per secoli un elemento fondamentale delle flotte europee e turche. Ma chi erano questi "motori umani" delle galere?

Fonte Wikimedia (Pubblico dominio)
Fonte Wikimedia (Pubblico dominio)

Prigioni di legno in cui il sudore si mescolava alla salsedine e all'acqua del mare, con le urla degli aguzzini a scandire le loro giornate. Ma sempre meglio di un carcere sulla terraferma, di una condanna a morte o di una terribile punizione corporale che veniva esclusa solo per una richiesta: finire a remare nelle galere.

La storia, è noto, è scritta dai vincitori. Ed è altrettanto noto che si ricordano solo i nomi dei personaggi illustri, eroi, traditori, comandanti, santi, sovrani, filosofi e donne e uomini di potere. Nessuno ricorda nome e cognome di chi era solo una parte minuscola di un immenso ingranaggio a sua volta parte del meccanismo di uno Stato. Eppure anche questi uomini comuni hanno scritto pagine di Storia: come collettività, senza ricordare il nome del singolo ma tralasciando ai posteri il nome dell'intera categoria di cui facevano parte. Come avvenuto per i galeotti, i rematori delle galere, che sono diventati il termine con cui ancora oggi si definiscono le persone che finiscono in prigione.

Ma chi erano questi protagonisti anonimi e essenziali della guerra in mare? Per lungo tempo i galeotti non sono stati affatto solo criminali. L'immagine che a noi viene più naturale - in larga parte derivata dai film e dai romanzi - è quello del prigioniero condannato ai remi, con una catena che lo teneva legato alla sua postazione e un uomo dell'equipaggio iroso e violento che con urla, frustate o al ritmo di un tamburo batteva la velocità dei remi. Eppure tanti (non tutti), fino all'età moderna, erano sorprendentemente uomini liberi, che sceglievano di imbarcarsi per anni nei bastimenti. Naturalmente non si può dire che fosse un lavoro ricercato: le galere erano uno dei luoghi più difficili del mondo, con un livello di igiene scarsissimo, alto tasso di mortalità e con le persone costrette a rimanere piegate per ore sul proprio legno e con turni massacranti di lavoro. Tuttavia, appunto, c'era chi andava lì per sua volontà, quelli che erano chiamati i "buonavoglia". Gente molto umile, spesso disperata, che nel tempo passò da volontaria a costretta in assenza di prospettive o sotto la minaccia del carcere per diversi motivi.

Nel corso dei secoli però i buonavoglia, che erano presenti in molti Paesi europei, divennero sempre meno. Così, mentre i liberi rimasero come zoccolo duro di rematori ben addestrato e in grado di combattere contro ogni nemico, la maggior parte dei compagni di nave iniziò a essere composta da condannati ai lavori forzati e schiavi. In molti Paesi era sempre più difficile reclutare rematori liberi, in altri, invece, si inizò a fare largo uso della condanna alla galera. Sia per l'aumento del numero di navi per contrastare i turchi, sia per l'aumento delle flotte nemiche in generale, sia per bilanciare un costo sempre più alto per mantenere le flotte. A Venezia si provvide addirittura a creare un apposito comandante, il Governatore de' condannati, che aveva autorità sulle cosiddette "galee sforzate". In Spagna, il quotidiano Abc racconta che nel Museo navale esiste un'enorme quantità di documenti che fotografano il reclutamento di questi detenuti, racchiusi nei "Libros de Galeras". Documenti che rivelano non solo l'identità dei condannati ai remi, ma anche perché arrivavano nelle galere: molti erano ladri, qualcuno anche un assassino, molti gli indebitati o semplicemente i vagabondi. Spesso si trattava di condannarti direttamente alle galere, ma di persone che per evitare torture o amputazioni sceglievano il male minore. E anche in Francia si iniziò a fare largo uso dei condannati al carcere per rinfoltire le file dei rematori.

A questi cittadini delle nazioni che armavano le flotte, si deve poi aggiungere una buona minoranza di rematori composta da schiavi. Per le flotte cristiane, erano musulmani catturati durante le guerre con i barbareschi e gli ottomani. Nelle flotte turche e dei corsari erano invece in larga parte schiavi europei o anche di altre parti dell'impero o di altri regni limitrofi. Qualcuno poteva sognare la libertà una volta vinta una battaglia, come avveniva per i forzati.

Ma tanti potevano solo sperare in un miracolo: quello di sopravvivere a una vita di fatiche, ferite e nel fetore che appestava queste prigioni galleggianti che dominavano il Mediterraneo.

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