Così sta "risuscitando" il crocifisso miracoloso

La scultura lignea di Donatello da secoli in una chiesa di Padova è in fase di restauro a Udine. Tac, radiografie e scansioni in 3D per recuperare il suo aspetto originale

Così sta "risuscitando" il crocifisso miracoloso

Udine - Un'opera di Donatello, fino a oggi inedita, entra di diritto nella storia dell'arte. Si tratta di una scultura lignea di centottantasette centimetri di altezza: tanto è lungo il Cristo sofferente, con gli occhi socchiusi, la muscolatura tonica e delineata che, in robusto legno di pioppo, da seicento anni è esposto nella chiesa di Santa Maria dei Servi a Padova. Parliamo di lui perché ora è certo: a intagliarlo furono le sapienti mani di Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto il Donatello.

Questa storia comincia da lontano, da Oltreoceano, quando nel 2008 i professori Marco Ruffini e Francesco Caglioti trovarono, alla Beinecke Library della Yale University, un'edizione del 1550 delle Vite di Giorgio Vasari con alcune annotazioni manoscritte, fino ad allora sconosciute. «Ha Donatello ancor fato il Crucifixo quale è ora in chiesa di Servi di Padoa», recitava la glossa. Possibile che fosse citata un'opera di cui si ignorava completamente l'esistenza? Donatello, attivo sì a Padova fra il 1443 e il 1453, è noto per aver firmato la celebre statua equestre del Gattamelata e per il crocifisso e l'altare nella Basilica di Sant'Antonio. Nessuno aveva immaginato che quel crocifisso, fino a oggi dipinto color del bronzo, fosse opera del maestro rinascimentale.

Non stiamo parlando di un Cristo qualunque: l'opera è al centro di una forte devozione popolare da quando, attestano le cronache locali, nell'aprile del 1512 dalla corona di spine e dal costato fuoriuscì del sangue. Il miracolo venne certificato dall'allora arciprete. Suggestione o leggenda poco importa, il dato essenziale è che con il passare del tempo l'alone miracoloso passò dal crocifisso all'ampolla di sangue raccolto, ancora esposta come reliquia durante ricorrenze particolari. Con la devozione, la paternità della statua passò in secondo piano, fino a essere dimenticata: il crocifisso, al contrario, fu “coccolato” dai frati, coperto da un panno ed esposto di rado. Soprattutto, cosa non scontata trattandosi di un'opera in legno, resistette nei secoli. L'intuizione degli studiosi e la glossa non erano però sufficienti per stabilirne l'attribuzione: in mancanza di altri documenti, servivano l'analisi e il restauro.

Siamo andati nel laboratorio di Udine dove la Soprintendenza per i Beni Artistici, storici ed etnoantropologici delle province di Belluno, Padova, Treviso e Venezia sta da due anni portando avanti il lavoro, finanziato dal ministero (80mila euro per il Crocifisso e 45mila per la cappella, con un team di tre restauratori della sovrintendenza che hanno lavorato per due anni senza troppo risparmiarsi). Abbiamo davanti a noi, adagiata su appositi supporti, un'opera affascinante: la testa di Gesù è stata quasi impastata dalle mani di Donatello, che pare applicare al legno le tecniche apprese per modellare la creta usata per creare le sue celebri statue in bronzo. Il restauro, intrapreso dopo aver convinto i fedeli della parrocchia della necessità dell'intervento, ha svelato un Crocifisso completamente diverso rispetto a prima: grazie a una campagna diagnostica approfondita (Tac con scansione continua per 150 ore, radiografia integrale, scansione a 3D) è stata rimossa la ripittura tardottocentesca, una sorta di pelle di finto bronzo che era ormai entrata nell'iconografia della devozione comune, ed è venuto alla luce il colore originario in tutta la sua straordinaria policromia.

Brilla il rosso del sangue del costato, veri paiono i capelli, i peli delle ascelle e del pube, morbida sembra la pelle di questo Cristo così espressivo. Proprio in questi giorni si stanno ridipingendo alcune parti del corpo danneggiate e in primavera il restauro sarà completato. «Siamo davanti a uno dei più alti esempi di scultura lignea del Rinascimento italiano, un'immagine che entrerà di diritto nei libri di storia dell'arte», commenta Elisabetta Francescutti, che dirige il restauro.

A vederlo da vicino, questo Cristo quattrocentesco pare contemporaneo: ci racconta di un Donatello che ama sperimentare materiali, della spasmodica ricerca di una perfezione che per l'artista può coincidere soltanto con il massimo del naturalismo, della capacità di rendere superbo il sentimento della sofferenza. In una parola, la “pelle” svelata del Cristo dopo la ripulitura dimostra tutta la differenza che esiste fra un ottimo artigiano e un artista geniale.

Tornerà a casa, il Donatello svelato, nella cappella della chiesa dei Servi dove è situato dal Cinquecento, ma non prima di essere protagonista di una mostra al Museo diocesano di Padova, organizzata dalla diocesi e dalla Soprintendenza, sotto la curatela di Andrea Nante ed Elisabetta Francescutti (dal 27 marzo al 26 luglio).

Uno accanto all'altro saranno esposti i tre crocifissi realizzati da Donatello: quello della Basilica di Sant'Antonio a Padova, solenne e sofferente, e, probabilmente, anche il celeberrimo di Santa Croce a Firenze, realizzato quando era giovane ma già interprete originale dello spirito rinascimentale del suo tempo.

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