Cultura e Spettacoli

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Martin Amis è uno dei più apprezzati scrittori inglesi (suoi romanzi come Money e Territori londinesi), uno di quegli scrittori dotati di una verve polemica indiscutibile e capaci di prendere di petto l’interlocutore. Tanto per dire: quando ha pubblicato il saggio Koba il terribile, una risata e venti milioni di morti (libro in cui ha raccontato i crimini di Lenin e Stalin e come gli intellettuali occidentali li abbiano coperti) ha litigato a muso duro con il suo amico Christopher Hitchens, che vantava una vecchia militanza marxista. E anche per quanto riguarda le sue idee sul terrorismo di Al Qaida, e sulla cultura islamica in generale, non ha mai mostrato di avere peli sulla lingua. In una lunga intervista a The Observer nel 2006 ha dichiarato che i paesi arabi sono «largamente inferiori all’Occidente per tutti gli indici di produzione industriale, per la creazione di posti di lavoro, la tecnologia, l’alfabetizzazione, l’aspettativa di vita, lo sviluppo umano e la vitalità intellettuale». Non bastasse, anche un’altra sua controversa frase ha fatto il giro del Mondo: «C’è la necessità di dire che la comunità musulmana dovrà soffrire sino a quando non avrà messo ordine in casa propria».
Su queste ultime questioni sembra però aver cambiato di colpo idea. In questi giorni si trova a Dubai, ospite del festival della letteratura organizzato dalla Compagnia aerea degli Emirati. Intervistato da un giornale locale in lingua inglese, The National, ha tessuto l’elogio dei benefici effetti della religione musulmana. Di più, a detto all’intervistatrice: «Vorrei che mia sorella Sally si fosse convertita all’islam. Lei che è stata sempre religiosa invece si è convertita al cattolicesimo. Potrebbe esser ancora viva grazie alla continenza dell’islam all’austerità e ai precetti che l’islam impone». Il tema, evidentemente, è delicato essendo la sorella di Amis morta a quarantasei anni, dopo un lungo periodo di depressione e alcolismo. Però Amis nell’elogiare la dottrina del Profeta prende una bella rincorsa e fa conversione a U: «L’islam fornisce una struttura, uno spirito di corpo, una collettività di cui essere parte e che accessoriamente vieta l’alcol e il sesso prematrimoniale. Sally avrebbe potuto avere una chance». Poi già che c’era, almeno secondo The National, Amis si è mostrato penitente rispetto alle sue vecchie dichiarazioni antislamiche. Sarebbero state fraintese visto che il riferimento era solo agli attentatori di Al Qaida e ha spiegato quanto sia difficile rimuovere le tendenze ataviche che ci spingono al razzismo: «Il razzismo è immondizia, ma non scompare schioccando le dita».
Sotto il sole di Dubai, che notoriamente picchia parecchio, sembra esserci un Martin Amis radicalmente diverso da quello che parla e scrive a Londra. Per carità, molti di quelli che gli rimproverarono di avere esagerato, nel 2006, qualche ragione l’avevano. Adesso, però, qualcuno potrebbe anche fargli notare che se è bene essere cortesi con chi ti invita ad un bel festival letterario arrivare ad elogiare il Corano per il fatto che conculca alcune delle nostre libertà non è proprio un’idea geniale. Essendo più cattivelli si potrebbe anche fargli presente che una persona, debole e fragile, attirata all’interno di una religione facile ai radicalismi magari si ubriaca lo stesso, e fa sesso prematrimoniale lo stesso, però finisce fustigata sulla pubblica piazza.
Insomma: tra l’Amis che parte lancia in resta per la nuova crociata e l’Amis che vuole salvifiche conversioni in nome del Profeta, pace su di Lui, c’è una zona grigia (come la materia grigia) abitata da qualche miliardo di esseri umani ragionevoli.

Umani che magari non bevono e, se possono, evitano anche i colpi di sole.

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