Dario Fo lascia tutto il suo archivio alla Svezia

Canta la "bella Italia" ma il suo patrimonio finirà a Stoccolma. È un "ringraziamento" per il Nobel?

Dario Fo lascia tutto il suo archivio alla Svezia

Quando a marzo festeggiò gli 89 anni, Dario Fo non fu affatto tenero col nostro Paese: «I ragazzi non hanno lavoro, c'è mancanza di dignità, una perdita ormai del senso collettivo, i furbi vincono e gli onesti decadono - dichiarò all'agenzia di stampa AdnKronos -. Tutto quello che vedo mi rende malinconico, pensiamo “Che bella terra l'Italia”, una terra però dei fuochi, in cui le fabbriche intasano le acque. Non riesco a sollevare un bicchiere e dire “È bella la vita”». E come tanti scrittori e artisti che non perdono occasione di lamentarsi dell'Italia che trascura la cultura, e poi quando si può contribuire concretamente con progetto nazionale se ne vanno all'estero, anche Dario Fo ha fatto la sua parte.

In un'intervista, pochi giorni fa, al Dagens Nyheter , il maggiore quotidiano di Stoccolma (intervista da noi passata inosservata, e che ci ha segnalato il collega Angelo Tajani, a lungo corrispondente dalla Svezia di diversi quotidiani italiani, oggi a riposo), lo scrittore Premio Nobel ha detto di voler lasciare tutto il suo archivio all'Accademia di Svezia. Il suo sogno è creare un museo interattivo, «un mondo teatrale alla Disneyland», da realizzare in un vecchio fienile ristrutturato di 400 mq che potrebbe contenere un intero teatro: scenografie, costumi, maschere... Ma anche la sua produzione d'artista (schizzi, disegni e dipinti) oltre alle carte personali: l'intera carriera teatrale di Dario Fo è infatti documentata nei minimi dettagli. La moglie Franca Rame, morta nel 2013, conservò oltre mezzo secolo di manifesti e documentazione dei loro spettacoli tra immagini, filmati e video: oltre a 30 armadi pieni di recensioni e lettere con lodi, critiche e persino minacce.

Un patrimonio culturale ricchissimo. Che perderemo. Forse perché in Italia sarebbe molto più complicato, anche dal punto di vista burocratico, allestire un museo-archivio ad hoc. Forse perché - ma questa è una nostra maliziosa supposizione - Dario Fo vuole in qualche modo ricambiare l'attenzione che la Svezia gli ha sempre riservato. Al di là, e ben prima, dell'assegnazione del premio Nobel, nel 1997.

Come (ci) ricorda Angelo Tajani - il quale vive a Stoccolma da quarant'anni - una sessantina di lavori di Dario Fo sono stati tradotti e rappresentati in Svezia già dalla fine degli anni '50, in teatri come lo Stadsteater e il Dramaten, il prestigioso teatro-accademia di arte drammatica della capitale. E questo anche grazie al regista livornese, emigrato in Svezia, Carlo Barsotti, il quale da sempre è il maggior «supporto» per la traduzione e le rappresentazioni nel Paese scandinavo dei lavori di Fo. Nonostante lo stretto legame tra il commediografo italiano e la Svezia, nel 1997 l'assegnazione del Nobel suscitò una certa impressione anche nella stampa locale.

Proprio il Dagens Nyheter all'epoca scrisse: «Quest'anno il premio Nobel per la letteratura è stato assegnato a Dario Fo. Una scelta popolare. L'Accademia ha destato sorpresa nel premiare un drammaturgo controverso e giullare».

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