IL DIZIONARIO DI IRENE BRIN

TENSIONE Non voglio parlare di elettricità, ma di nervosismo. \ Questo fenomeno si riscontra particolarmente fra gli intellettuali di buona volontà, quelli che, soffrendo già per un temperamento sensibile ed eccitabile, desiderano inoltre produrre una buona impressione su chi li accosta, pronunciare parole memorabili, dare il proprio tono ad un ambiente. Però anche innumerevoli padrone di casa semplicemente borghesi sono «tesissime» quando invitano le amiche al tè o un collega del marito a pranzo: vorrebbero che i vol-au-vent fossero perfetti, la conversazione fluida, le mosche assenti, e non si avvedono che gli ospiti preferirebbero vol-au-vent pessimi, silenzio e ronzio di mosche alla perpetua agitazione delle povere signore. Gli innamorati non troppo sicuri di esser amati; le ambasciatrici non troppo convinte di esser popolari; i commessi viaggiatori timidi soffrono, ugualmente, di questo zelo sovreccitato, di questa febbrile cortesia. Come guarirne? Riflettendo lungamente, prima, sulle persone da affrontare: e poi sulla precarietà degli affetti umani, sul finire del tempo, sulla prontezza dell’oblio. Chi si ricorderà, tra un anno, dei nostri vol-au-vent? E, tra dieci anni, di noi?

TINTURE Per capelli, evidentemente. Evitatele, per quanto potete; gli uomini ingenui si lascino cader di mano il Pettine Magico o la Brillantina Prodigio concepiti proprio per illudere loro. E le donne non meno ingenue si limitino a lavarsi i capelli, magari in casa, con qualche cachet, totalmente innocuo, che accentui i riflessi biondi nella capigliatura castana o illumini di turchino una capigliatura grigia. \

TRASFORMAZIONI Apprezzabili, ma solo se machiavelliche. Voglio dire che una donna ha il diritto di cambiare pettinatura ogni mattina ed ogni mattina ed ogni sera, se crede, di presentarsi a colazione come una ragazzina ed al ballo come una vampira. Ma non le è consentito di esagerare: mi ricordo di Maria Montez, così buona, che non sapeva resistere alle tentazioni proposte dalla sua stessa grazia. Invitata a pranzo nella sua casa di Hollywood mi accolse indossando una guaina d’oro; sparì con un pretesto, e ricomparve stellante nel tulle bianco. Ma, al momento del caffè, scivolò via, e riapparì in velluto nero. Perché non mi si accusi di citare solo i Grandi della Terra, aggiungerò che, durante una sosta nell’albergo principale di V., cittadina piemontese, seguii lo svolgersi di una festa danzante... in cui le signorine si appartavano nella toilette per trarre, da modeste valigette di fibra, un vestito diverso da quello indossato fino ad allora. L’elegantissima, la Regina dei Cuori Locali, ne sfoggiò tre. Ahi!

UMANITÀ È una parola attualmente di moda, usata a proposito ed a sproposito. Ma l’uso che se ne fa viene dal curioso bisogno di trovarsi intorno simpatia, comprensione, gentilezza, riassumendole così. «Il mio dentista», si sente dire, «non è forse un genio, ma è talmente umano!». Questo significa che il dentista segue i suoi pazienti con cortesia e con attenzione, anche se la sua competenza tecnica è limitata. Si lodano «sarti umani», «librai umani», perfino «domestiche a mezzo servizio umane». Insomma, abbiamo tacitamente ammesso di vivere tra belve, mascherate con il camice bianco o con la giacchetta piena di spilli o con la giubba di lustrino o con il grembiulone di tela: jene, lupi, tigri, sciacalli, vipere, in vesti e funzioni umane. Ma senza umana consistenza. Cerchiamo di reagire alla fretta ed all’indifferenza che troppo spesso si trasformano in crudeltà e ci meriteremo anche noi questo curioso diploma di buona educazione.

UMILTÀ Coltivatela cristianamente e segretamente, evitatela mondanamente e ufficialmente. Rammentate che qualunque vostra affermazione scherzosa è presa sul serio: «Figuriamoci», gorgheggia la brillantissima attrice, «io sono e rimarrò sempre una dilettante!» \ perché crede che tutti protesteranno: «Tu! Tu!, genio! Tu, somma!». Ed invece i suoi ascoltatori scrolleranno il capo, assentendo: «Sì, certo, dilettante; ma così squisita...». E da allora in poi la classificheranno tra le dilettanti. Lo scrittore che ammette di esser l’unico ad acquistare i suoi romanzi; la scrittrice che confida al suo intervistatore qualche dubbio sulla propria profondità; il musicista che si teme esaurito; il pittore che denuncia la sua crisi; la padrona di casa che precede l’apparizione dell’arrosto con la deplorazione della lardellatura \ creeranno nel loro pubblico un’indulgente, sprezzante, definitiva disistima dei propri talenti.

USI E COSTUMI DEGLI STRANIERI Mi è capitato spesso di ricevere lettere di giovanetti che per andare in Inghilterra (o in America, o in Spagna) mi chiedevano consigli sul contegno da tenere. Domande, in fondo, superflue, perché la buona educazione è perfettamente internazionale, perché gli usi nazionali si imparano sul posto. Ad esempio, gli orari dei pasti sono diversissimi: in America ed in Inghilterra si mangia presto, in Spagna tardi; e nella Spagna meridionale più tardi che non in quella settentrionale, come, del resto, accade in Italia. \ Una donna avvezza a vivere nei paesi latini, dove non ci si veste mai da sera prima che il sole non sia calato, troverà fastidioso indossare nuvole di chiffon rosa verso le sei o le sette del pomeriggio, ma dovrà farlo al nord: e si potrà difendere solo adottando abiti eleganti, sì, ma modestissimi, di picché e non di chiffon, perché non riuscirebbe a far spostare l’ora del teatro, del pranzo, del balletto locali. \ I viaggiatori, giovani e vecchi, hanno un solo dovere: lo stesso dovere che hanno qui, a casa loro. Essere gentili, comprensivi, pazienti. Non brontolare contro la cucina all’olio, né contro la cucina al burro, né contro la cucina al lardo. Ascoltare, sforzandosi di capire, non solo la lingua ignota, ma l’animo, le intenzioni degli interlocutori. Non stabilire paragoni vantaggiosi agli altri. Non approfittare mai di una situazione illecitamente. Non fare i furbi. Non fare gli sciocchi. Fare gli Italiani, veri, intuitivi, accomodanti, caritatevoli e cordialmente spiritosi.

VECCHIAIA (ALTRUI) \ Due anni fa, una passionale e giovanissima pittrice romana scrisse un articolo rimasto famoso in cui esortava i vecchi alla morte, ed i giovani alla riscossa: tra i vecchi poneva, con la stessa enfasi, Benedetto Croce ed Alberto Moravia, divisi da circa otto lustri. Io non me ne meravigliai affatto, sapevo che per l’ingenua gli anni, oltre un certo limite, non contavano in quanto che tali, formavano massa indistinta. Soltanto, dimenticava che i progressi dell’igiene, della scienza, della volontà, consentono attualmente curiosi miracoli. Non citerò Bodomoletz, né i duchi di Windsor, dirò tuttavia che le persone già illustri e discusse prima della quarantina riescono, tra i loro altri successi, ad ottenere anche una specie di immobilità, quando addirittura non tornano indietro. Pressione giusta, fegato assestato, denti smaglianti, snellezza levigata, abiti aggiornati, e, soprattutto, la possibilità di rifornirsi infinitamente di idee e di immagini viaggiando, leggendo, spendendo... Fra dieci anni, la giovane pittrice battagliera ritroverà Alberto Moravia identico, né più grasso, né più magro, né più orgoglioso, né meno brillante. È sicura di essere durevole quanto lui?

VILLANI INCONSAPEVOLI Battetevi contro i villani inconsapevoli. Contro chi, ad esempio, sfoglia libri e giornali con il dito inumidito nella propria saliva, senza pensare a chi dovrebbe leggere dopo. Se mi date retta, rifiuterete gelidamente di accettare indietro l’oggetto insozzato. Io lo faccio, ogni volta che in treno, in piroscafo, in aereo, qualcuno mi offre un pezzo di carta stampata, su cui stampò anche le proprie umide impronte. «Dispiacente, lo leggerei volentieri se lei non l’avesse trattato così». O, a chi mi chiede in prestito «qualcosa da leggere»: «Con gioia, se lei non sputa sulle pagine». Sguardo angosciato suo, diffusa spiegazione mia. \

ZELO «Et surtout», dicono i Francesi, «pas trop de zèle!». Giustissimo. Evitate lo zelo eccessivo, intempestivo, ingombrante. Non chiedete sette volte ai vostri invitati se vogliono dell’altra aranciata. Non importunate la signora che mangia poco perché mangi di più. Non imponete a nessuno la scuola-svizzera-dove-i-bambini-stanno-tanto-bene, o il regime bianco o la vostra compagnia. Fate compagnia agli infermi, ma solo se sapete di esser loro grata e simpatica. Fate la corte alle signorine, ma solo se sapete di esser loro grato e simpatico. Non proponete giochi di società in un salotto dove tutti conversano. Non siate, insomma, troppo zelanti.

ZIZZANIA Questa parola così brillante e tagliente simboleggia i peggiori pericoli della convivenza sociale. Ci sono donne (e anche uomini), che l’adorano, la collocano dovunque possono, riferiscono pettegolezzi, inventano giudizi, decretano necessità di rivendicazioni o addirittura di vendetta: «Ieri ho dovuto spezzare una lancia in tuo favore, al pranzo R.: figurati che quella sciocca di Annaclaudia ha tirato fuori la vecchia storia di tuo nonno usuraio; ma io l’ho messa subito a posto: “Che usuraio e usuraio”, ho gridato, “sappiamo tutti che il povero don Carlino aiutava gli amici, ed era giusto tirarne fuori un modesto interesse, ma usuraio, poi! Già, siete talmente ingiusti con l’intera famiglia di don Carlino, quell’altra storia della zia Amalia che scappò di casa con il pompiere...”. E allora Giannantonio salta su: “Fosse stato solo il pompiere! Ma il macellaio?”. Insomma, non si è parlato d’altro. Ed io, lì, sola a difendervi tutti, morti e vivi; però tu, se mi dài retta, devi far qualcosa, non dico un duello, un paio di schiaffi sì, e la prima volta che incontri Luisa digliene quattro, se le merita...».

ZORRO Ovvero Douglas Fairbanks Sr. \ Si sposò una prima volta, con l’ereditiera che parve offrire a lui, giovane attore, l’ingresso in un particolare patriziato americano. Poi divorziò, divenuto ricchissimo, perché la moglie non aveva alcun desiderio di invitare nella villa qualsiasi Royalty di passaggio. Poi sposò la debuttante Mary Pickford, perché ne era innamorato, e perché la sentiva animata dalle sue stesse ambizioni. Poi cominciò a odiare la prima signora Fairbanks ed il piccolo Douglas jr., nato da quell’unione, perché, impoveriti ormai, abitavano a Parigi, vivevano in Rive Gauche, frequentavano gli intellettuali e si trattava per lui di uno snobismo ancora misterioso. Poi odiò Joan Crawford, giovanissima sposa del figlio, perché la considerava plebea. Poi divorziò da Mary, perché il successo di lei l’infastidiva, e sposò Sylvia; era, anche lei, plebea per nascita, però seguitava (e seguita e seguiterà) a portare il titolo di un primo marito, facendosi chiamare lady Ashley. Il povero, grosso, cardiaco Doug si ammazzò, letteralmente, a furia di cocktail-parties, o formal-dinners, e quanto, secondo lui, doveva condurlo sulla vetta di una carriera unicamente mondana.

Il segno di Zorro era, ormai, una qualsiasi onorificenza, un cartellino da portare all’occhiello per significare che si poteva accedere alla Royal Enclosure di Ascot. E mi sembra giusto concludere queste pagine con un ammonimento: guardatevi da Mammone, guardatevi dallo snobismo.
(11. Fine)

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