Tra sogno e utopia, realizzare una collezione d'arte senza vincoli di spazio, denaro, appartenenza, può portare veramente lontano. E così Philippe Daverio, dopo il clamoroso successo del primo episodio Il museo immaginato incentrato sulla sua passione antiquaria di voler mettere insieme la grande arte con curiosità, arredi e decorazioni per un ideale di casa improntata alla ricerca del bello, eccolo al nuovo e non conclusivo capitolo, Il secolo lungo della modernità (Rizzoli). È un viaggio tra l'Ottocento, in gran parte da riscoprire e affrancare dalla troppo semplicistica lettura del gene, e la prima decade del Novecento, ai limiti temporali di quelli che Eric Hobsbawn vedeva come i vagiti del secolo breve. Ma fa in tempo a inserire il Picasso delle Demoiselles d'Avignon e il Ready Made di Duchamp fermandosi, per ora, alla soglia del cosiddetto contemporaneo.
La sfida, dunque, è quella di costruire un nuovo grande museo, con tanto di progetto, business plan, divisione delle sale e allestimento per ospitare i presupposti di quel rivolgimento epocale provocato poi dalle avanguardie. Le idee sono tante, come le informazioni, gli aneddoti, i particolari che ne rendono la lettura gustosissima. La prima idea è che la pittura rimane tra i linguaggi dell'arte il più forte, duraturo e credibile. Data periodicamente per morta fin dai tempi di Hegel, continua a essere lo specchio più affidabile ai fini di comprendere ciò che si muove intorno, persino più realistica e libera della fotografia.
Fin dalla scelta dell'immagine di copertina, Una strada parigina sotto la pioggia dipinta nel 1877 da Gustave Caillebotte, Daverio vuol dimostrare che l'Ottocento non è soltanto l'Impressionismo dei nomi altisonanti che tutti conosciamo, ma anche quelle figure defilate eppure capaci di cogliere lo spirito d'inquietudine dell'arte pittorica. In effetti gli Impressionisti puntellano il libro ma non sono così centrali rispetto a «conservatori» in verità molto sperimentali e azzardati. Pur seguendo una traccia storicistica Daverio non ama, giustamente, la ferrea cronologia delle pinacoteche incentrata su scuole e movimenti, ma avvolge il suo visitatore immaginato nelle spire di temi e suggestioni, dalla politica (e non poteva non cominciare con la Zattera della Medusa di Delacroix) al sentimento (autore chiave Caspar Friedrich); dalla pittura di storia che domina il Romanticismo e arriva fino al Simbolismo, al tema del lavoro di cui sono esperti gli italiani (fino alle periferie di Mario Sironi).
Peccato sia solo un libro il Museo immaginato. Riuscisse a trasformarlo in uno spazio reale farebbe la felicità del cassiere.
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