Cultura e Spettacoli

"Il mio Rambo è un vero pacifista"

Il romanzo dell'autore Usa, portato al cinema da Stallone, nacque dai venti di guerra civile americana dagli anni '60

"Il mio Rambo è un vero pacifista"

Santa Fe (New Mexico) - A giudicare dalla durezza di Rambo, il personaggio che lo ha consegnato alla storia, David Morrell potrebbe sembrare tutto d'un pezzo, inflessibile, poco propenso al sorriso. Se tutte queste impressioni hanno un fondamento, non dipende dall'enorme popolarità che la serie del riottoso reduce dal Vietnam gli ha assicurato. David Morrell, infatti, ha vissuto il dramma dell'abbandono e i rigori dell'orfanotrofio nel natio Canada e la sua vita è stata segnata da gravissimi lutti familiari. «Ho avuto una vita professionale fortunata e una vita privata sfortunata. Graham Greene una volta disse che un'infanzia sfortunata è una miniera d'oro per uno scrittore». La sua ultima fatica, un romanzo di ambientazione vittoriana avente per protagonista lo scrittore Thomas De Quincey, si intitola La perfezione del male (Nord, pagg. 382, euro 14,90). Quando nella brumosa Londra viene sterminata una famiglia con modalità identiche a quelle utilizzate una quarantina di anni prima da John Williams, il presunto assassino di un'altra famiglia londinese, e che De Quincey in un provocatorio pamphlet aveva definito «artistiche», è lo stesso scrittore a divenire il primo indiziato e a doversi scagionare. Ne abbiamo parlato con Morrell a Santa Fe, dove l'autore vive.

Come le è venuto in mente di utilizzare Thomas De Quincey?
«De Quincey era convinto che noi possiamo essere controllati da pensieri ed emozioni che non sappiamo di avere. Mi sono chiesto se avesse anticipato Freud, perché fu l'inglese a coniare la parola “subconscio” e ad anticipare Freud di una settantina d'anni. Inoltre, fu De Quincey a inventare il thriller moderno, ispirando Edgar Allan Poe, che a sua volta ispirò sir Arthur Conan Doyle. Non ho resistito alla tentazione di farne il protagonista principale di un giallo/thriller di ambientazione vittoriana».

Com'è nato il personaggio di Rambo?
«Sono cresciuto in Canada. Nel '66 mi sono trasferito negli Stati Uniti per studiare letteratura americana alla Pennsylvania State University. Non sapevo nulla del Vietnam (di cui non si parlava sulla stampa canadese), per cui è stata una sorpresa scoprire che i miei compagni studenti erano angosciati dall'idea di essere arruolati a forza per andare a combattere in Vietnam. Nel '67, durante la Convention del partito democratico, scoppiarono violente proteste a Chicago contro la guerra del Vietnam. Nel '68 ci furono centinaia di disordini in varie città americane. Iniziai a pensare che gli Stati Uniti sarebbero precipitati in una guerra civile e decisi di scrivere Rambo, un romanzo in cui un veterano del Vietnam torna a casa, profondamente turbato dalle esperienze della guerra. Quando un agente di polizia arresta Rambo per il suo aspetto trasandato, tutto il risentimento che la guerra ha scatenato in lui viene a galla. Scoppia una piccola guerra civile. Il romanzo è un'allegoria degli elementi di divisione che in quegli anni lacerarono gli Stati Uniti. Nel film sono state cambiate molte cose, a partire dal finale, dove Rambo doveva morire sotto i colpi dell'uomo che lo aveva addestrato e creato. Ma la casa di produzione decise di farlo vivere perché gli spettatori delle proiezioni-test si erano schierati tutti dalla sua parte. Credo si tratti di un film ben fatto».

Se Rambo lo scrivesse oggi, come sarebbe?
«Oggi non potrei scrivere Rambo perché il romanzo e il film hanno cambiato la storia. Le spiego come. Negli Stati Uniti le persone contrarie alla guerra criticavano i veterani del Vietnam e non i politici che quella guerra l'avevano voluta. I soldati ricevevano sputi e venivano vilipesi. Grazie a Rambo, la gente imparò a fare una distinzione e a criticare i politici, non i soldati, che avevano giurato di servire la patria. Oggi non c'è nulla di simile alle condizioni violente che lacerarono l'America tra il '68 e il '72. Senza quell'acredine, oggi non si potrebbe scrivere quella storia».

Ha mai pensato che l'idea di un soldato americano indistruttibile avrebbe finito per essere l'icona del militarismo, più che una riflessione sugli orrori della guerra?
«Rambo è un romanzo apertamente pacifista che drammatizza il costo del combattimento, malgrado il secondo e terzo film rendano il personaggio una sorta di caricatura che, con il senno di poi, non piacque nemmeno a Sylvester Stallone. Ma ogni cosa ha due facce e a me viene in mente quello che mi disse una giornalista polacca durante un mio giro di promozione nel suo Paese: negli anni di Solidarnosc (a cavallo tra gli '80 e '90), i manifestanti polacchi vedevano i film di Rambo (che erano proibiti) e poi si vestivano come il protagonista dei film prima di scendere in strada e protestare contro i militari. Da adolescente, quella giornalista era scesa in piazza. Fu l'inizio del crollo dell'Unione Sovietica e quella donna era convinta che Rambo avesse giocato un piccolo ruolo nella fine dell'Urss.

Dunque, è pure possibile che il tono militarista di quel secondo e terzo film abbia avuto un effetto positivo».

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