Il gol di Stefano Marelli è un'avventura fra fascismo e fútbol

Mettersi nei guai ha un fascino che non ammette repliche. E leggere un romanzo di autore italiano in cui non soltanto il protagonista si mette nei guai di continuo, ma insulta il buon senso con la sfacciataggine dell'avventura è così raro che non stupisce come Altre stelle uruguayane di Stefano Marelli (Rubbettino) sia sopravvissuto all'estate e al Natale 2013 rimanendo in libreria e i suoi lettori ne parlino ancora e ne convincano altri a leggerlo.

Le «stelle uruguayane» originarie sono quelle di Sudamerica di Paolo Conte, in cui alcune parole sono ispirate al calcio geniale di Pepe Schiaffino e altre al cielo tropicale che certi impigrisce e certi accende alla conquista del mondo. Così è per el Brujo, «lo Stregone», che quando Sauro - ex turista in cerca di fortuna nella selva amazzonica - lo conosce, sembra soltanto un vecchio barbone che vive al Parque Ecuatorial. Ma che presto si rivelerà essere Nesto Bordesante, talento uruguagio spacciato per italiano dalla squadra di calcio di Mussolini, bandito e poi risorto a Mister del Brumaspessa, incaricato di portare una squadretta di periferia nell'Olimpo del fútbol che conta. «Ho scelto il calcio perché è uno dei pochi argomenti di cui saprei parlare senza commettere troppi errori. Però è vero che il gioco del pallone si presta bene come metafora: lotta, successi, cadute, riabilitazioni, infortuni, ricchezze», ha detto Stefano Marelli, esordiente di Cantù, scoperto dal premio letterario calabrese «Parole nel vento», mille mestieri prima di approdare alla tv svizzera.

Il cuore della storia è in bilico tra invenzione e realtà, quella di un periodo della storia del calcio italiano di cui si parla pochissimo. Alla fine degli anni Venti le società setacciarono il Sudamerica per importare campioni dal cognome nostrano. Monti, Orsi, Andreolo, Guaita, Mascheroni, Libonatti, Cesarini: «Sarebbero diventati la spina dorsale della Nazionale di Vittorio Pozzo che negli anni Trenta vinse tutto ciò che c'era da vincere». Se el Brujo è inventato, le sue gesta in campo sono anche troppo realistiche. Del tutto letterario è invece il sogno, nel romanzo realizzato più volte, di reinventarsi una vita, a volte nascondendosi, a volte fingendosi morto, a volte dimenticando chi si era prima, con la stessa facilità con cui si smette un vestito logoro.

Non si creda tuttavia che Marelli punti soltanto al cuore dei tifosi. Viene anzi il sospetto che il tentativo, riuscito, di rendere il calcio una storia, appassionante come e più delle altre, sia programmatico: «In Italia, salvo rarissime eccezioni, gli intellettuali hanno sempre avuto un atteggiamento razzista verso il calcio e i suoi seguaci» ha avuto modo di dichiarare.

«Proprio questa attitudine provinciale ha favorito una certa ghettizzazione del calcio, diventato col tempo feudo quasi esclusivo delle masse - diciamo così - meno scolarizzate. Tutto ciò ha fatto del male ai tifosi... E alla maggior parte degli intellettuali, che nemmeno immagina quale sublime spettacolo si sia lasciato sfuggire».

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