Prima il Nobel a un'autrice di soli racconti, e ora il Goncourt a un giallista-thrillerista-noirista. Non che Alice Munro e Pierre Lemaitre siano outsider, ma la loro investitura da parte dell'Accademia di Svezia e degli accademici-buone-forchette che si ritrovano ogni mese al ristorante «Drouant» di Parigi è il segno che qualcosa sta cambiando, nel panorama dei premi letterari più prestigiosi. Carenza di materia prima in cui pescare o apertura a generi e tipologie di scrittura a lungo snobbati? Ne riparleremo fra qualche anno.
Intanto diciamo che, se la «maestra del racconto breve contemporaneo» (così la motivazione dei togati scandinavi) ha visto riconosciuto il suo lunghissimo percorso disseminato di centinaia di short stories, il sessantaduenne Lemaitre ha battuto la concorrenza di Arden, opera prima di Frédéric Verger targata Gallimard, con un viaggio a ritroso nel tempo fino al primo dopoguerra. Anche se non ha mancato di sottolineare che la sua vittoria è un importante atto di fiducia nei confronti delle sue «capacità maturate nella scrittura dei gialli, nella fiction popolare». Au revoir là-haut (ed. Albin Michel, uscirà a gennaio da Mondadori con il titolo Ci rivediamo lassù) è infatti incentrato sulle vicende di due reduci della Grande Guerra. Le imminenti celebrazioni per i cent'anni dallo scoppio del conflitto avranno influenzato la scelta? Anche se fosse, a pensar... bene non si farebbe peccato.
Come non si fa peccato ricordando che Lemaitre ha pubblicato in Italia tre romanzi di tutt'altro tenore. Mentre Lavoro a mano armata (Fazi, 2013) vede un manager esodato imboccare la strada della malavita, Alex (Mondadori, 2011) e L'abito da sposo (Fazi, 2012) sono pagine ad alta tensione costruite su due figure di donne, una giovane preda di un maniaco e una baby sitter vittima di una macchinazione. Dove, ovviamente, l'autore sta dalla parte delle signore.
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