È la decana delle fiere d'arte in Italia eppure mantiene inalterato il suo fascino. Bologna continua ad attirare un pubblico molto vasto, collezionisti, mercanti, artisti e aspiranti tali, proprio perché non si presenta come una rassegna di tendenza, che pretende di indirizzare il gusto ed escludere tutto ciò che non fa parte di una ristretta logica curatoriale. «Arte Fiera» è invece all'insegna della proposta democratica, e se ha perso per strada qualche galleria particolarmente modaiola, altre ne ha acquistate pescando in settori che meriterebbero più attenzione, come l'800 italiano e la fotografia. Il primo andando in scia all'esperimento della londinese «Frieze», che accanto al contemporaneo propone da alcuni anni gli antichi maestri. La seconda incontra invece un mercato emergente, anche se migliorabile dal punto di vista della qualità.
Dovendo fronteggiare un crisi grave e lunga che ha attraversato tutto il mondo dell'arte, la più vecchia delle fiere italiane si è dovuta cercare i propri anticorpi e relative contromosse, come è accaduto alle consorelle «Arco» di Madrid e «Fiac» a Parigi. Per il secondo anno si è affidata alla coppia di direttori Claudio Spadoni e Giorgio Verzotti, che hanno trasferito la loro lunga competenza museale nel mercato. Sfida non facile, perché mentre nelle istituzioni si può proporre qualsiasi cosa senza l'assillo della vendita qui bisogna innanzitutto portare a casa la pelle e, se possibile, guadagnare qualche posizione in un mercato ancora sfiduciato.
Girando tra gli oltre 170 stand (un numero record) dei due padiglioni si percepisce a tutt'oggi un'aria abbastanza positiva. Sembra che davvero ci sia qualche segnale di ripresa, forse meno paura rispetto a un anno fa di spendere soldi nell'arte, ma certo è che il panorama collezionistico risulta profondamente mutato rispetto al decennio scorso quando si vendeva più o meno di tutto e a qualsiasi prezzo. Nel 2014 si confermano le opere importanti: chi le ha e può proporle è al riparo della crisi. Basti visitare lo spazio della Galleria Mazzoleni di Torino, la cui proposta è degna di un museo. «Sono richiesti Bonalumi, Castellani, Pistoletto, Boetti - conferma il titolare Davide Mazzoleni - mentre la Venezia di Lucio Fontana conto di venderla all'Armory Show di New York a marzo». L'inseguimento del collezionista straniero è sempre una priorità, e Stefano Contini, gallerista di Venezia e Cortina, conferma di aver venduto diverse sculture pop di Robert Indiana all'estero. «Vanno bene anche Mitoraj, Plessi e Botero. Insomma cose dai 100mila euro in su. In ogni caso credo che la fiera sia in un trend positivo, e forse il momento peggiore è davvero alle spalle.
Un parere non troppo dissimile a quello di Renato Cardi (gallerie a Milano e Pietrasanta), che ha portato tutta Arte Povera: «Non ho voluto risparmiarmi perché amo il mio Paese e credo non sia giusto tirare fuori i gioielli di famiglia solo quando si va fuori. E poi la qualità paga sempre perché il pubblico di Bologna è competente e informato».
Anche chi si occupa di mercato medio, come Alberto Peola di Torino, sottolinea il grande sforzo da parte dell'organizzazione di «Arte Fiera» in promozione e pubblicità dell'evento, mentre Antonio Colombo di Milano, con i pittori del pop surrealismo, è contento perché in molti hanno chiesto i prezzi di artisti ancora poco conosciuti in Italia. Rispetto al passato sono meno le gallerie che investono su giovani o su artisti a metà carriera. Il punto forte dell'arte italiana, parlando di mercato, sembra aver bloccato il calendario tra anni '60 e '70: oltre all'Arte Povera e agli spazialisti, sono tornati di moda i cinetici, proposti da diverse gallerie, o da quelle figure di outsider come Mochetti, Piacentino, Nannucci che ora vivono un pieno rilancio, come conferma la Galleria Giacomo Guidi che dopo Roma ha aperto un nuovo spazio a Milano.
Se invece si cercano giovani proposte o sfiziose tendenze internazionali, forse Bologna non è esattamente la fiera giusta. Più che la scommessa, qui si va incontro al valore stabile, di un'arte coi piedi per terra e costantemente in crescita. Troppi, evidentemente, si sono bruciati con il mercato senza regole di anni '80 e '90 e non hanno più voglia di investire su opere dal destino incerto.
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