Storia d'assalto

I "gatti da guerra" della Marina

Tra misticismo e tradizione marinara, gli "Ship's cat" hanno accompagnato esploratori, mercanti e le navi da guerra delle maggiori marine del mondo

Il mito dei "gatti da guerra" della Marina di Sua maestà

Lo annotava sul diario di bordo anche il capitano Aubrey, il numero di gatti imbarcati al suo primo comando. Ma perché dei gatti su una nave da guerra della Royal Navy? Per una ragione semplice quanto ancestrale: dare la caccia ai topi. Quelli che si nascondevano nelle vecchie corvette come la Sophie, uscita dalla penna di Patrick O’Brian, o sui vascelli di prima classe come la Hms Vanguard agli ordini del contrammiraglio Horatio Nelson nella baia di Abukir.

E anche quando le navi smisero d'essere forgiate nel legno più robusto da abili capomastri, spinte a vele maestre, velacci e controvelacci, e divennero corazzate e incrociatori fatti di potente d'acciaio e con lunghi cannoni, o financo dei nuovi immensi vascelli con ponti piatti per il lancio di aerei imbarcati, i gatti, o meglio gli "Ship's cat" - come erano soliti chiamarli gli inglesi - erano sempre lì. Sul ponte. Acciambellanti sulla poltrona del comandante. Appisolati nella bocca di un cannone da 6 libbre a prendere ombra. Oppure a passeggio, come temerari e silenziosi equilibristi su di una gomena, mentre i marinai facevano rifornimento in porto.

Un’usanza antica, che risale al tempo delle antiche civiltà che tracciarono le prime rotte commerciali che dalle cose della cosiddetta Mezzaluna fertile puntarono al Mediterraneo. Poi consacrata dagli antichi egizi che li reputavano animali sacri.

Sacri, svelti, furbi, silenziosi e astuti predatori che sui dreki vichinghi come sulle caracche di Magellano all’epoca delle grandi esplorazioni, dovevano tenere sotto controllo i piccoli roditori che potevano portare la peste, divorare o infettare le scorte di cibo destinate all’equipaggio o il prezioso carico di un mercantile. Sulle navi da guerra i topi, onnipresenti nei porti e abbastanza svelti ad imbarcarsi clandestinamente per fondare una nuova colonia ben disposta ad attraversare l’Equatore o doppiare Capo Horn a spese dell’equipaggio, potevano danneggiare elementi importanti. Cime e vele, fasciame dello scafo prima, cavi elettrici collegati a importanti apparati di difesa poi. Così, nonostante l’avvento dei pesticidi, le marine proseguirono nell’arruolare felini per scongiurare il rischio di una proliferazione di roditori a bordo. Ma anche per motivi scaramantici e sentimentali.

I gatti, amabili e intelligenti animali con un’autosufficienza spesso inquietante, hanno rappresentato un’ottima compagnia e uno svago per gli equipaggi che da sempre si affezionavano e li viziavano come fossero gatti di una grande casa galleggiante. Rafforzando il senso di cameratismo tra gli uomini nelle tenerezze che venivano elargite ai piccoli pelosi a quattro zampe, e ispirandoli a prendersene la massima cura per motivi spesso legati a vecchie e radicate credenze. Si pensava infatti che i gatti vantassero poteri soprannaturali. Che potessero portare fortuna o sfortuna alle navi che affrontavano onde, tempeste e battaglie. E che potessero, inoltre, avvertire i marinai dell’arrivo dei cambiamenti meteorologici più repentini. Ad esempio si credeva che un gatto intento a leccarsi contropelo sul ponte, potesse ambasciare l’arrivo di una grandinata. Un piccolo starnuto sotto i baffi avrebbe preceduto la pioggia. Mentre dei balzi particolarmente vivaci - quello che reputiamo “il matto” dei gatti - un cambiamento del vento.

Delle credenze non del tutto infondate. Poiché i gatti, dotati di un apparato uditivo estremamente sensibile, percepiscono come altri animali i cambiamenti della pressione atmosferica e barometrica, mostrandosi in comportamenti insoliti e irrequieti quando il tempo è in procinto di cambiare.

Sopratutto nella Royal Navy, una delle marine più antiche del mondo che era solita cercare una mascotte per ogni nave, gli ship’s cat si diffusero, portando nella storia felini celebri come Blackie. Il gatto della corazzata Hms Prince of Walles, che condusse il primo ministro Churchill nelle Americhe a ratificare la Carta Atlantica con il prescindere americano Roosevelt, e che ne attirò (Churchill era un rinomato “gattaro”, ndr) le tenere carezze immortalate nelle fotografie che fecero il giro nel mondo. Sopravvissuto all'affondamento della corazzata, affondata nelle acque dell’Estremo oriente dall’aviazione imperiale giapponese, fu tratto in salo e portato a Singapore, ma dopo l'evacuazione del protettorato britannico nel 1942, se ne persero le tracce. E non possiamo escludere sia “passato al nemico” come Oscar, celeberrimo "gatto" alle dipendenze della Kriegsmarine, la marina da guerra tedesca.

Il temerario felino passato alla storia come "l'inaffondabile Sam” per il suo futuro da doppiogiochista, si trovava sulla corazzata Bismark quando nel maggio del '41 gli inglesi la spedirono a cannonate sul fondo dell'oceano dopo la lunga e famosa "caccia". Salvato dagli inglesi, venne arruolato nella Marina di Sua Maestà sul cacciatorpediniere Hms Cossack, che però sarebbe affondato appena due mesi dopo. Sam, l'inaffondabile, si salvò anche quella volta, passando in servizio sulla portaerei Hms Ark Royal (dalla quale era partito l'aerosilurante che aveva trovato e colpito per primo la Bismark), affondata da un siluro quello stesso anno. Anche in quell’occasione Sam sopravvisse; ma da allora rimase a terra, dislocato a Gibilterra, dove avrebbe speso le quattro vite rimastigli in attesa della fine della guerra. Senza mai lamentare, neppure a terra, le sue origini teutoniche. Perché se dobbiamo muovere una critica ai gatti - anche in tempo di pace e nella quotidiana placida esistenza che spendono tra le nostre case e i nostri giardini - è che che all’occorrenza sanno essere dei gran mercenari.

Sarà per loro indole indipendente e avventurosa, o per la loro strabiliante intelligenza.

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