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I poteri sovranazionali sono la nuova sfida al liberalismo classico

Il saggio di Giuseppe Galasso (Liberalismo e democrazia, Salerno, pagg. 100, euro 8,90) è un contributo importante che fa il punto su due concetti chiave della politica moderna letti nel loro accidentato, contradditorio percorso di reciproco avvicinamento. I due termini, richiamati nel titolo, non sono sinonimi e anzi per molto tempo ogni liberale degno di questo nome si è sforzato di preservare il suo patrimonio ideale da ogni contaminazione «democraticistica».
Così fece Benedetto Croce, nel maggio 1943, quando definì il manifesto liberal-democratico del Partito d'Azione un imbroglio. Quel manifesto che annunziava un programma liberale ne imponeva invece «uno socialistico di quel socialismo venato di comunismo che vuole la simultaneità di una rivoluzione sociale e di una proclamazione di libertà, cosa che non potrebbe accadere se non con la dittatura, con la milizia rossa e dunque con un rinnovato fascismo».
Galasso dimostra che l'esortazione di Croce rimase inascoltata e che proprio il connubio di democrazia e liberalismo finì per dominare incontrastato in tutte le Nazioni economicamente e socialmente avanzate. Resta da domandarci a qual prezzo si consumò quell'unione difficile per costatare poi che il conto di quel matrimonio d'interesse, più che d'amore, fu sicuramente salato. In primo luogo, la democrazia, figlia e levatrice della nuova società di massa, sconvolse il delicato equilibrio dei poteri dello Stato liberale, mortificando le prerogative dell'esecutivo, esasperando le antinomie del regime parlamentare, interponendo il diaframma dei partiti tra le scelte dei cittadini e l'esercizio concreto della loro sovranità. Inoltre, essa operò una pletorica e confusa moltiplicazione dei diritti particolaristici e corporativi (di provincia e di regione, di etnia, di classe, di genere, di categoria) che comportò l'indebolimento della potestà statale e che si risolse a detrimento dei diritti generali dell'individuo sanciti dalla dottrina liberale.
Galasso ci invita a non cercare il rimedio a questi problemi nelle facili scorciatoie dell'antipolitica e nell'appello all'«uomo forte», al capo carismatico e plebiscitario. Eppure, proprio l'autore di Liberalismo e democrazia scrive che il sistema liberal-democratico «non è preclusivo rispetto all'idea del “capo”, a condizione che esso iscriva la sua azione nella forma della democrazia».
La domanda che c'interpella oggi è però un'altra. Potrà la politica sopravvivere al processo di globalizzazione e all'accentuarsi di soluzioni tecnocratiche deputate a governarlo che si pongono contro e al di fuori delle regole tracciate da liberalismo e democrazia? Galasso è fiducioso che la sintesi tra queste due forme politiche riuscirà a vincere questa sfida.

Confesso di non riuscire a condividere interamente il suo ottimismo. Quanto gli ordinamenti liberali e democratici, nati nell'humus dello Stato-Nazione, potranno, infatti, durare strappati dal loro terreno di coltura? E cosa rimarrà della sovranità dei cittadini del secondo millennio, quando le decisioni cruciali per la loro esistenza, saranno prese, come sempre più spesso accade, non dai loro parlamenti ma da organismi sovranazionali?

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